giovedì 24 maggio 2012

Il Papa ai vescovi italiani: Giovanni XXIII impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi». Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa

ANNO DELLA FEDE (11 OTTOBRE 2012 - 24 NOVEMBRE 2013): LO SPECIALE DEL BLOG

Indirizzo di saluto del card. Angelo Bagnasco


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Il Papa ai vescovi: “Impegnate la vita per ciò che vale e permane” (Gagliarducci)

Il Papa: in Italia il secolarismo erode cultura e valori unificanti. In Europa Dio è marginalizzato dalla coscienza pubblica (Izzo)
Il Papa: Dio è diventato sconosciuto anche in Italia (Tornielli)

Il primo, vero e unico compito. Il discorso del Papa ai vescovi italiani (Sir)

Il Papa: L’esclusione di Dio dalla vita è “il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale” (Bandini)
 

Il Papa: Anno della Fede per rilanciare Catechismo, Concilio e Tradizione. Formare italiani adulti nella fede per il bene del Paese. "Interlocuzione fruttuosa" Cei-Istituzioni (Izzo)

L'esclusione di Dio dalla società, cuore della crisi che ferisce l'Europa. Così il Papa ai vescovi italiani


Il Papa alla Cei: Anche una terra feconda rischia cosi' di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto

Senza la liturgia non c'è nuova evangelizzazione. Nell'adorazione di Dio il futuro dell'uomo e il cambiamento del mondo (Antonio Cañizares Llovera)


UDIENZA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.), 24.05.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula del Sinodo, in Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i partecipanti alla 64ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in corso dal 21 al 25 maggio sul tema: Gli adulti nella comunità: maturi nella fede e testimoni di umanità.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Presuli italiani:


DISCORSO DEL SANTO PADRE



Venerati e cari Fratelli


è un momento di grazia questo vostro annuale convenire in Assemblea, in cui vivete una profonda esperienza di confronto, di condivisione e di discernimento per il comune cammino, animato dallo Spirito del Signore Risorto; è un momento di grazia che manifesta la natura della Chiesa. 
Ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco per le cordiali parole con cui mi ha accolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: a Lei, Eminenza, rivolgo i migliori auguri per la riconferma alla guida della Conferenza Episcopale Italiana. 
L’affetto collegiale che vi anima nutra sempre più la vostra collaborazione a servizio della comunione ecclesiale e del bene comune della Nazione italiana, nell’interlocuzione fruttuosa con le sue istituzioni civili. In questo nuovo quinquennio proseguite insieme il rinnovamento ecclesiale che ci è stato affidato dal Concilio Ecumenico Vaticano II; il 50° anniversario del suo inizio, che celebreremo in autunno, sia motivo per approfondirne i testi, condizione di una recezione dinamica e fedele. 
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Giovanni XXIII nel discorso d’apertura.
Egli impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi». (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). 
Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa.
La razionalità scientifica e la cultura tecnica, infatti, non soltanto tendono ad uniformare il  mondo, ma spesso travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di delineare il perimetro  delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il  potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma  morale. Proprio in tale contesto non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una  singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che  alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio. Questa situazione  di secolarismo caratterizza soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed erode quel  tessuto culturale che, fino a un recente passato, era un riferimento unificante, capace di  abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al  passaggio alla vita eterna. Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue  radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al  punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di  diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto.  Ne è un segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella partecipazione alla  Liturgia eucaristica e, ancora di più, al Sacramento della Penitenza. Tanti battezzati hanno  smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di  poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti guardano dubbiosi  alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che  hanno certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non riguardano ancora il nucleo centrale  della fede cristiana. Il Regno di Dio è dono che ci trascende. Come affermava il beato Giovanni  Paolo II, «il regno non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione,  ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio  invisibile» (Redemptoris missio, 18). 
Purtroppo, è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte  di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si  vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato  dalla coscienza pubblica. Passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al  Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo  pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso.  In questo contesto, come possiamo corrispondere alla responsabilità che ci è stata affidata  dal Signore? Come possiamo seminare con fiducia la Parola di Dio, perché ognuno possa trovare  la verità di se stesso, la propria autenticità e speranza? 
Siamo consapevoli che non bastano nuovi  metodi di annuncio evangelico o di azione pastorale a far sì che la proposta cristiana possa  incontrare maggiore accoglienza e condivisione. Nella preparazione del Vaticano II,  l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare intendeva dare risposta era: «Chiesa, che  dici di te stessa?». Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari furono, per così dire,  ricondotti al cuore della risposta: si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e  testimoniato. Non a caso, infatti, la prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia:  il culto divino orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il suo primato, plasma la  Chiesa, incessantemente convocata dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro  con Dio. A nostra volta, mentre dobbiamo coltivare uno sguardo riconoscente per la crescita del  grano buono anche in un terreno che si presenta spesso arido, avvertiamo che la nostra situazione  richiede un rinnovato impulso, che punti a ciò che è essenziale della fede e della vita cristiana.  In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un  grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento  della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte  adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli  uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio.  Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per  ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini  vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno  significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare  all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di  Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera  e plasmati dalla sua Grazia. Sant’Agostino, dopo un cammino di affannosa, ma sincera ricerca  della Verità era finalmente giunto a trovarla in Dio. Allora si rese conto di un aspetto singolare  che riempì di stupore e di gioia il suo cuore: capì che lungo tutto il suo cammino era la Verità  che lo stava cercando e che l’aveva trovato. Vorrei dire a ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare  da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. E’ dalla  relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che  abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio.  
Per questo ho voluto indire un Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre prossimo, per  riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per conoscere in modo più profondo  le verità che sono la linfa della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, ad un  rinnovato incontro con Gesù Cristo «via, verità e vita».  In mezzo a trasformazioni che interessavano ampi strati dell’umanità, il Servo di Dio Paolo  VI indicava chiaramente quale compito della Chiesa quello di «raggiungere e quasi sconvolgere  mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le  linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con  la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii nuntiandi, 19). 
Vorrei qui ricordare  come, in occasione della prima visita da Pontefice nella sua terra natale, il beato Giovanni Paolo  II visitò un quartiere industriale di Cracovia concepito come una sorta di «città senza Dio». Solo  l’ostinazione degli operai aveva portato a erigervi prima una croce, poi una chiesa. In quei segni,  il Papa riconobbe l’inizio di quella che egli, per la prima volta, definì «nuova evangelizzazione»,  spiegando che «l’evangelizzazione del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del Concilio  Vaticano II. Deve essere, come insegna questo Concilio, opera comune dei Vescovi, dei  sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». E concluse: «Avete costruito  la chiesa; edificate la vostra vita col Vangelo!» (Omelia nel Santuario della Santa Croce,  Mogila, 9 giugno 1979).
Cari Confratelli, la missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli  uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore  a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua  volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della  vita. Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi  l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e  rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino.  Come evidenzia opportunamente il tema principale di questa vostra Assemblea, la nuova  evangelizzazione necessita di adulti che siano «maturi nella fede e testimoni di umanità».  L’attenzione al mondo degli adulti manifesta la vostra consapevolezza del ruolo decisivo di  quanti sono chiamati, nei diversi ambiti di vita, ad assumere una responsabilità educativa nei  confronti delle nuove generazioni. Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare  persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento  fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché  l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita. In questo cammino  formativo è particolarmente importante – a vent’anni dalla sua pubblicazione – il Catechismo  della Chiesa Cattolica, sussidio prezioso per una conoscenza organica e completa dei contenuti  della fede e per guidare all’incontro con Cristo. Anche grazie a questo strumento possa l’assenso  di fede diventare criterio di intelligenza e di azione che coinvolge tutta l’esistenza.
Trovandoci nella novena di Pentecoste, vorrei concludere queste riflessioni con una preghiera allo Spirito Santo:


Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull’abisso,
aiuta l’umanità del nostro tempo a comprendere
che l’esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.
Spirito della Pentecoste, che fai della Chiesa un solo Corpo,
restituisci noi battezzati a un’autentica esperienza di comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.
Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno della vita e assicura l’abbondanza del
raccolto.
Amen.


© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

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