sabato 30 aprile 2011

Il Papa: Alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise su tali questioni in una società pluralistica, è compito delle radio come pure delle televisioni. E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA DELLE RADIO DELL’EUROPEAN BROADCASTING UNION, 30.04.2011

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla 17.ma Assemblea delle Radio dell’European Broadcasting Union, che ha tenuto i suoi lavori nei giorni scorsi in Vaticano, su invito della Radio Vaticana in occasione dell’80° della sua fondazione.
Nel corso dell’incontro il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici,

sono molto lieto di dare il benvenuto a tutti voi, membri e partecipanti alla 17° Radio Assembly della European Broadcasting Union, che quest’anno è ospite della Radio Vaticana, in occasione dell’80° della sua fondazione. Saluto l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Ringrazio il Presidente della European Broadcasting Union, Jean Paul Philippot, e il Padre Federico Lombardi, Direttore Generale della Radio Vaticana, per le cortesi parole con cui hanno illustrato la natura del vostro incontro e i problemi che dovete affrontare.

Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perché dotasse lo Stato della Città del Vaticano di una Stazione radio all’altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostrò di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialità la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa. Effettivamente, attraverso la radio, i Papi hanno potuto trasmettere aldilà delle frontiere messaggi di grande importanza per l’umanità, come quelli giustamente famosi di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, che hanno dato voce alle aspirazioni più profonde verso la giustizia e la pace, o come quello di Giovanni XXIII al momento culminante della crisi fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1962.

Ancora attraverso la radio Pio XII ha potuto far diffondere centinaia di migliaia di messaggi delle famiglie per i prigionieri e i dispersi durante la guerra, svolgendo un’opera umanitaria che gli guadagnò gratitudine imperitura. Attraverso la radio, inoltre, sono state a lungo sostenute le attese di credenti e di popoli soggetti a regimi oppressivi dei diritti umani e della libertà religiosa.

La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società. Si può dire che tutto l’insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l’incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società.

Naturalmente, ciascuno di voi sa che anche nello sviluppo delle comunicazioni sociali si nascondono difficoltà e rischi. Permettetemi perciò di manifestare a tutti voi il mio interesse e la mia solidarietà nell’importante opera che svolgete. Nelle società odierne sono in gioco valori basilari per il bene dell’umanità, e l’opinione pubblica, nella cui formazione il vostro lavoro ha tanta importanza, si trova spesso disorientata e divisa. Voi sapete bene quali preoccupazioni nutre la Chiesa cattolica a proposito del rispetto della vita umana, della difesa della famiglia, del riconoscimento degli autentici diritti e delle giuste aspirazioni dei popoli, degli squilibri che causano sottosviluppo e fame in tante parti del mondo, dell’accoglienza dei migranti, della disoccupazione e della sicurezza sociale, delle nuove povertà ed emarginazioni sociali, delle discriminazioni e delle violazioni della libertà religiosa, del disarmo e della ricerca di soluzione pacifica dei conflitti. A molte di tali questioni ho fatto riferimento nell’Enciclica "Caritas in veritate".

Alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise su tali questioni in una società pluralistica, è compito delle radio come pure delle televisioni. E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi. Si tratta di una ricerca paziente di quella "verità quotidiana" che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della società, e che va cercata insieme con umiltà.

In questa ricerca la Chiesa cattolica ha un suo contributo specifico da dare, e intende darlo testimoniando la sua adesione alla verità che è Cristo, ma allo stesso tempo con apertura e spirito di dialogo.

Come ho affermato nell’incontro con i qualificati rappresentanti del mondo politico e culturale britannico nella Westminster Hall di Londra nello scorso settembre, la religione non intende prevaricare nei confronti dei non credenti, ma aiutare la ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. La religione contribuisce a "purificare" la ragione, aiutandola a non cadere in distorsioni, come la manipolazione da parte dell’ideologia, o l’applicazione parziale che non tenga conto pienamente della dignità della persona umana. Allo stesso tempo, anche la religione riconosce di aver bisogno del correttivo della ragione per evitare eccessi, come l’integralismo o il settarismo. "La religione non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". Invito perciò anche voi, "nell’ambito delle vostre sfere di influenza, a cercare di promuovere ed incoraggiare il dialogo fra fede e ragione" nella prospettiva del servizio al bene comune nazionale.

Il vostro è un "servizio pubblico", servizio alla gente, per aiutarla ogni giorno a conoscere e a capire meglio ciò che succede e perché succede, e a comunicare attivamente per concorrere al cammino comune della società. So bene che questo servizio incontra difficoltà, con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi.

Vi possono essere la sfida della concorrenza da parte dell’emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l’impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell’audience. Ma troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno di cui dovete occuparvi, per lasciarvi scoraggiare e arrendervi di fronte a queste difficoltà.

Vent’anni fa, nel 1991, quando il Venerabile Giovanni Paolo II, che domani avrò la gioia di proclamare Beato, riceveva la vostra Assemblea generale in Vaticano, vi incoraggiava a sviluppare la vostra mutua collaborazione, per favorire la crescita della comunità dei popoli del mondo. Oggi, penso ai processi in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, diversi dei quali sono pure membri della vostra Associazione. Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi. Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure.

Infine, cari amici, mentre auguro a tutti voi e alla vostra Associazione un fecondo lavoro, desidero esprimere ancora la mia gratitudine per la collaborazione concreta che in molte occasioni avete dato e date al mio ministero, come nelle grandi celebrazioni del Natale e della Pasqua o in occasione dei miei viaggi. Anche per me e per la Chiesa cattolica siete dunque degli alleati e degli amici importanti nella nostra missione. In questo spirito sono lieto di invocare su tutti voi, sui vostri cari e sul vostro lavoro la Benedizione del Signore.

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mercoledì 27 aprile 2011

Il Papa: Cari amici, Sì, Cristo è veramente risorto! Non possiamo tenere solo per noi la vita e la gioia che Egli ci ha donato nella sua Pasqua, ma dobbiamo donarla a quanti avviciniamo. E’ il nostro compito e la nostra missione: far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE

CATECHESI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa all'udienza generale: La cupidigia è radice di ogni peccato. Ogni Cristiano deve essere fermento di cambiamenti (Izzo)

Il Papa: La tensione verso il 'cielo', propria dei cristiani, non significa ''il disprezzo delle realta' terrene'' dimenticandosi ''di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste (Asca)

Il Papa: «I cristiani "risorti" cambiano il mondo» (Massimo Introvigne)

Il Papa: la solidarietà si coniughi con l'ordine sociale (Gasparroni)

Solidarietà verso gli immigrati e vittime dell'amianto nei saluti del Papa al termine dell'udienza

Il Papa: Le cose della terra da evitare sono l'impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria

Il Papa: il cristiano trasformi la società portandole solidarietà e rispetto della dignità di ognuno (AsiaNews)

Il Papa elogia i Lampedusani per "l'impegno di solidarietà verso i fratelli migranti"

Il Papa: La Pasqua è dunque “dono da accogliere sempre più profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell’amore (Sir)

Il Papa: San Paolo ci indica quali sono le “cose di lassù”, che il cristiano deve cercare e gustare

Il Papa: La fede nel Cristo risorto trasforma l’esistenza, operando in noi una continua risurrezione (Sir)

L’UDIENZA GENERALE, 27.04.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza pontificia di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato della risurrezione di Cristo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo
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CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'ottava di Pasqua

Cari fratelli e sorelle,

in questi primi giorni del Tempo Pasquale, che si prolunga fino a Pentecoste, siamo ancora ricolmi della freschezza e della gioia nuova che le celebrazioni liturgiche hanno portato nei nostri cuori.
Pertanto, oggi vorrei riflettere con voi brevemente sulla Pasqua, cuore del mistero cristiano. Tutto, infatti, prende avvio da qui: Cristo risorto dai morti è il fondamento della nostra fede. Dalla Pasqua si irradia, come da un centro luminoso, incandescente, tutta la liturgia della Chiesa, traendo da essa contenuto e significato.
La celebrazione liturgica della morte e risurrezione di Cristo non è una semplice commemorazione di questo evento, ma è la sua attualizzazione nel mistero, per la vita di ogni cristiano e di ogni comunità ecclesiale, per la nostra vita. Infatti, la fede nel Cristo risorto trasforma l’esistenza, operando in noi una continua risurrezione, come scriveva san Paolo ai primi credenti: «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9).
Come possiamo allora far diventare “vita” la Pasqua? Come può assumere una “forma” pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesù: tale evento non è un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso. La risurrezione di Cristo è l’approdo verso una vita non più sottomessa alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio. Nella risurrezione di Gesù inizia una nuova condizione dell’essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l’intera umanità. Per questo, san Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesù (cfr 1Cor 15,16.20), ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianità della nostra vita.
Nella Lettera ai Colossesi, egli dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio, rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (3,1-2). A prima vista, leggendo questo testo, potrebbe sembrare che l'Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del “cielo” sarebbe in tale caso una specie di alienazione. Ma, per cogliere il senso vero di queste affermazioni paoline, basta non separarle dal contesto. L'Apostolo precisa molto bene ciò che intende per «le cose di lassù», che il cristiano deve ricercare, e «le cose della terra», dalle quali deve guardarsi.
Ecco anzitutto quali sono «le cose della terra» che bisogna evitare: «Fate morire – scrive san Paolo – ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3,5-6). Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato. Dunque, quando l'Apostolo invita i cristiani a distaccarsi con decisione dalle «cose della terra», vuole chiaramente far capire ciò che appartiene all’«uomo vecchio» di cui il cristiano deve spogliarsi, per rivestirsi di Cristo.
Come è stato chiaro nel dire quali sono le cose verso le quali non bisogna fissare il proprio cuore, con altrettanta chiarezza san Paolo ci indica quali sono le «cose di lassù», che il cristiano deve invece cercare e gustare. Esse riguardano ciò che appartiene all’«uomo nuovo», che si è rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi «ad immagine di Colui che lo ha creato» (Col 3,10). Ecco come l’Apostolo delle Genti descrive queste «cose di lassù»: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri (...). Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-14). San Paolo è dunque ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E’ vero che noi siamo cittadini di un'altra «città», dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena.
E questa è la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla città terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della società secondo la logica della solidarietà, della bontà, nel profondo rispetto della dignità propria di ciascuno. L’Apostolo ci ricorda quali sono le virtù che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c'è la carità, alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia «le cose del cielo»: la carità che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda.
La Pasqua, quindi, porta la novità di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitù del peccato ad una vita di libertà, animata dall’amore, forza che abbatte ogni barriera e costruisce una nuova armonia nel proprio cuore e nel rapporto con gli altri e con le cose. Ogni cristiano, così come ogni comunità, se vive l’esperienza di questo passaggio di risurrezione, non può non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause più urgenti e più giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo.

Sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato. La Pasqua è dunque dono da accogliere sempre più profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell’amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verità e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana.

Cari amici, Sì, Cristo è veramente risorto! Non possiamo tenere solo per noi la vita e la gioia che Egli ci ha donato nella sua Pasqua, ma dobbiamo donarla a quanti avviciniamo. E’ il nostro compito e la nostra missione: far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte. Testimoniare ogni giorno la gioia del Signore risorto significa vivere sempre in “modo pasquale” e far risuonare il lieto annuncio che Cristo non è un’idea o un ricordo del passato, ma una Persona che vive con noi, per noi e in noi, e con Lui, per e in Lui possiamo fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)
Grazie.

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lunedì 25 aprile 2011

Il Papa: Rivolgo uno speciale saluto ai rappresentanti dell’Associazione "Meter", promotrice della Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza, e li incoraggio a proseguire la loro opera di prevenzione e di sensibilizzazione delle coscienze al fianco delle varie agenzie educative


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

CHIESA E PEDOFILIA: LA TOLLERANZA ZERO DI PAPA BENEDETTO XVI

REGINA COELI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa: il Cristianesimo si fonda sulla Verità della Risurrezione. A maggio sarò a Venezia. Benedetto XVI ringrazia gli abitanti di Castelgandolfo per l'accoglienza (Izzo)

Il Papa: Nella preghiera, nell'adorazione, Dio incontra l'uomo

Lo sguardo verso l’Alto. La riflessione oggi al Regina Cæli e la vicinanza del Papa alle vittime di abusi (Sir)

Al Regina Caeli a Castel Gandolfo, il Papa esorta le realtà ecclesiali a combattere la piaga della violenza sui bambini. La testimonianza di don Di Noto, dell’associazione “Meter” (R.V.)

Lotta alla pedofilia, Don Di Noto: il Papa è un amico di Meter, un 'meterino' ad honorem per tutto quello che ha fatto e fa per la difesa dell'infanzia (Adnkronos)

Il Papa: «Incoraggiare lotta a pedofilia. Proseguire nella sensibilizzazione delle coscienze»

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI, 25.04.2011

Nel pomeriggio di ieri il Santo Padre Benedetto XVI ha raggiunto la residenza pontificia di Castel Gandolfo per un breve periodo di riposo.
Alle ore 12 di oggi, Lunedì dell’Angelo, il Papa guida la recita del Regina Cæli con i fedeli e i pellegrini convenuti nel Cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e in collegamento audio-video con Piazza San Pietro. Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana del Regina Cæli, che per tutto il tempo pasquale sostituisce l’Angelus:


PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Surrexit Dominus vere! Alleluja! La Risurrezione del Signore segna il rinnovamento della nostra condizione umana. Cristo ha sconfitto la morte, causata dal nostro peccato, e ci riporta alla vita immortale. Da tale evento promana l’intera vita della Chiesa e l’esistenza stessa dei cristiani. Lo leggiamo proprio oggi, Lunedì dell’Angelo, nel primo discorso missionario della Chiesa nascente: "Questo Gesù – proclama l’apostolo Pietro – Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.
Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire" (At 2,32-33). Uno dei segni caratteristici della fede nella Risurrezione è il saluto tra i cristiani nel tempo pasquale, ispirato dall’antico inno liturgico: "Cristo è risorto! / E’ veramente risorto!". È una professione di fede e un impegno di vita, proprio come è accaduto alle donne descritte nel Vangelo di san Matteo: "Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno" (28,9-10). "Tutta la Chiesa – scrive il Servo di Dio Paolo VI – riceve la missione di evangelizzare, e l’opera di ciascuno è importante per il tutto. Essa resta come un segno insieme opaco e luminoso di una nuova presenza di Gesù, della sua dipartita e della sua permanenza. Essa la prolunga e lo continua" (Es. Ap. Evangelii Nuntiandi, 8 dicembre 1975, 15: AAS 68 [1976], 14).

In che modo possiamo incontrare il Signore e diventare sempre più suoi autentici testimoni? San Massimo di Torino afferma: "Chiunque vuole raggiungere il Salvatore, per prima cosa lo deve porre con la propria fede alla destra della divinità e collocarlo con la persuasione del cuore nei cieli" (Sermo XXXIX a, 3: CCL 23, 157), deve cioè imparare a rivolgere costantemente lo sguardo della mente e del cuore verso l’altezza di Dio, dove è il Cristo risorto. Nella preghiera, nell’adorazione, dunque, Dio incontra l’uomo. Il teologo Romano Guardini osserva che "l’adorazione non è qualcosa di accessorio, secondario … si tratta dell’interesse ultimo, del senso e dell’essere. Nell’adorazione l’uomo riconosce ciò che vale in senso puro e semplice e santo" (La Pasqua, Meditazioni, Brescia 1995, 62). Solo se sappiamo rivolgerci a Dio, pregarLo, noi possiamo scoprire il significato più profondo della nostra vita, e il cammino quotidiano viene illuminato dalla luce del Risorto.

Cari amici, la Chiesa, in Oriente e in Occidente, oggi festeggia san Marco evangelista, sapiente annunciatore del Verbo e scrittore delle dottrine di Cristo – come in antico veniva definito. Egli è anche il Patrono della città di Venezia, dove, a Dio piacendo, mi recherò in visita pastorale il 7 e 8 maggio prossimo. Invochiamo ora la Vergine Maria, affinché ci aiuti a compiere fedelmente e nella gioia la missione che il Signore Risorto affida a ciascuno.

DOPO IL REGINA CÆLI

Chers frères et sœurs francophones, je suis heureux de vous saluer en ce lundi de Pâques. Que le Christ, vainqueur du mal et de la mort, soit la lumière de notre vie! Laissons-nous saisir par Lui pour transmettre au monde, à la suite des apôtres, la Bonne nouvelle du Salut. En partageant l’allégresse de la Vierge Marie et celle de toute la création, manifestons parmi nos frères la joie d’être aimés, pardonnés et sauvés. A tous, je souhaite de Saintes Fêtes de Pâques!

I am pleased to greet all the English-speaking visitors and pilgrims here present for today’s Regina Caeli prayers. With greater joy than ever, the Church celebrates these eight days in a special way, as she recalls the Lord Jesus’s resurrection from the dead. Let us pray fervently that the joy and peace of Our Lady, Mary of Magdala and the Apostles will be our own as we welcome the risen Lord into our hearts and lives. I invoke God’s abundant blessings upon you all!

„Der Herr ist wirklich auferstanden und ist dem Simon erschienen" (Lk 24,34). Mit diesem österlichen Gruß heiße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache hier in Castelgandolfo willkommen. Das leere Grab ist keine Täuschung. Christus hat den Tod besiegt, er lebt und zeigt sich den Seinen als der Lebendige. Diese Freude des Ostermorgens erfülle auch uns und mache uns heute zu Zeugen der Auferstehung. Gesegneten Ostermontag!

Dirijo mi cordial saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Que no deje de resonar en el mundo y en la Iglesia la alegre noticia de la resurrección de Jesucristo de entre los muertos. Que la paz, que nace del triunfo del Señor sobre el pecado, se extienda por toda la tierra, en particular por aquellas regiones que más la necesitan. Que la claridad victoriosa de su semblante ilumine vuestras vidas, vuestras familias y vuestras ciudades, y fortalezca también vuestros corazones con la esperanza de la salvación que Cristo nos ha ganado con su pasión gloriosa. Feliz Pascua a todos.

„Chrystus zmartwychwstał, jak zapowiedział, radujmy się wszyscy, ponieważ króluje na wieki". Drodzy Polacy, niech ta radość trwa zawsze w sercach wierzących i niech będzie dla wszystkich ludzi znakiem Bożej miłości. Niech Pan wam błogosławi!

(Cristo è risorto, come aveva promesso, rallegriamoci tutti, perché regna in eterno". Cari polacchi, questa gioia duri sempre nei cuori dei fedeli e sia per tutti gli uomini un segno dell’amore di Dio. Il Signore vi benedica).

Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, con un ricordo particolare per le autorità e gli abitanti di Castel Gandolfo sempre così ospitali. Rivolgo uno speciale saluto ai rappresentanti dell’Associazione "Meter", promotrice della Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza, e li incoraggio a proseguire la loro opera di prevenzione e di sensibilizzazione delle coscienze al fianco delle varie agenzie educative: penso in particolare alle parrocchie, agli oratori e alle altre realtà ecclesiali che si dedicano con generosità alla formazione delle nuove generazioni. A tutti auguro di trascorrere serenamente questo Lunedì dell'Angelo, in cui risuona con forza l'annuncio gioioso della Pasqua.

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domenica 24 aprile 2011

MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI"

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

MESSAGGIO E BENEDIZIONE URBI ET ORBI: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

MESSAGGIO E BENEDIZIONE URBI ET ORBI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

SANTA MESSA DI PASQUA: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA



FOTOGALLERY ANSA

FOTOGALLERY REPUBBLICA

FOTOGALLERY CORRIERE

FOTOGALLERY SOLE 24 ORE

FOTOGALLERY LA STAMPA

FOTOGALLERY TGCOM

Vedi anche:

Il Messaggio "Urbi et Orbi" del Papa nel commento di Mazza. Dati di afflusso clamorosamente al ribasso

L'omelia per la Veglia di Pasqua è un testo impressionante che resterà tra quelli più memorabili - e certo non sono pochi - di un Papa che con la sua parola sta restituendo alla tradizione cristiana forza e comprensibilità (Vian)

Il Papa ha lanciato poi un appello per la pace in Libia, Africa e Medio Oriente (Tgcom)

Messaggio "Urbi et Orbi": il commento di TMNews

Messaggio "Urbi et Orbi": i video

SANTA MESSA E MESSAGGIO URBI ET ORBI: GALLERIE FOTOGRAFICHE

Il Papa benedice l'umanità: Cristo risorto apra la via della libertà, della giustizia e della pace (R.V.)

Il Papa: La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un'esperienza mistica: è un avvenimento (Repubblica)

Iniziata la Messa di Pasqua in San Pietro. Folla straripante per il Papa

MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI", 24.04.2011

Alle ore 12, dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione il Messaggio che riportiamo di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"In resurrectione tua, Christe, caeli et terra laetentur – Nella tua risurrezione, o Cristo, gioiscano i cieli e la terra" (Lit. Hor.).

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Il mattino di Pasqua ci ha riportato l’annuncio antico e sempre nuovo: Cristo è risorto! L’eco di questo avvenimento, partita da Gerusalemme venti secoli fa, continua a risuonare nella Chiesa, che porta viva nel cuore la fede vibrante di Maria, la Madre di Gesù, la fede di Maddalena e delle altre donne, che per prime videro il sepolcro vuoto, la fede di Pietro e degli altri Apostoli.

Fino ad oggi – anche nella nostra era di comunicazioni ultratecnologiche – la fede dei cristiani si basa su quell’annuncio, sulla testimonianza di quelle sorelle e di quei fratelli che hanno visto prima il masso rovesciato e la tomba vuota, poi i misteriosi messaggeri i quali attestavano che Gesù, il Crocifisso, era risorto; quindi Lui stesso, il Maestro e Signore, vivo e tangibile, apparso a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Cenacolo (cfr Mc 16,9-14).

La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile. La luce che abbagliò le guardie poste a vigilare il sepolcro di Gesù ha attraversato il tempo e lo spazio. E’ una luce diversa, divina, che ha squarciato le tenebre della morte e ha portato nel mondo lo splendore di Dio, lo splendore della Verità e del Bene.

Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto. Per questo il cosmo intero oggi gioisce, coinvolto nella primavera dell’umanità, che si fa interprete del muto inno di lode del creato. L’alleluia pasquale, che risuona nella Chiesa pellegrina nel mondo, esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità.

"Nella tua risurrezione, o Cristo, gioiscano i cieli e la terra". A questo invito alla lode, che si leva oggi dal cuore della Chiesa, i "cieli" rispondono pienamente: le schiere degli angeli, dei santi e dei beati si uniscono unanimi alla nostra esultanza. In Cielo tutto è pace e letizia. Ma non è così, purtroppo, sulla terra! Qui, in questo nostro mondo, l’alleluia pasquale contrasta ancora con i lamenti e le grida che provengono da tante situazioni dolorose: miseria, fame, malattie, guerre, violenze. Eppure, proprio per questo Cristo è morto ed è risorto! E’ morto anche a causa dei nostri peccati di oggi, ed è risorto anche per la redenzione della nostra storia di oggi. Perciò, questo mio messaggio vuole raggiungere tutti e, come annuncio profetico, soprattutto i popoli e le comunità che stanno soffrendo un’ora di passione, perché Cristo Risorto apra loro la via della libertà, della giustizia e della pace.

Possa gioire la Terra che, per prima, è stata inondata dalla luce del Risorto. Il fulgore di Cristo raggiunga anche i Popoli del Medio Oriente, affinché la luce della pace e della dignità umana vinca le tenebre della divisione, dell’odio e delle violenze. In Libia la diplomazia ed il dialogo prendano il posto delle armi e si favorisca, nell’attuale situazione conflittuale, l’accesso dei soccorsi umanitari a quanti soffrono le conseguenze dello scontro. Nei Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, tutti i cittadini - ed in particolare i giovani - si adoperino per promuovere il bene comune e per costruire società, dove la povertà sia sconfitta ed ogni scelta politica risulti ispirata dal rispetto per la persona umana. Ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari Paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari arrivi la solidarietà di tutti; gli uomini di buona volontà siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli; a quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro conforto e apprezzamento.

Possa ricomporsi la civile convivenza tra le popolazioni della Costa d’Avorio, dove è urgente intraprendere un cammino di riconciliazione e di perdono per curare le profonde ferite provocate dalle recenti violenze. Possano trovare consolazione e speranza la terra del Giappone, mentre affronta le drammatiche conseguenze del recente terremoto, e i Paesi che nei mesi scorsi sono stati provati da calamità naturali che hanno seminato dolore e angoscia.

Gioiscano i cieli e la terra per la testimonianza di quanti soffrono contraddizioni, o addirittura persecuzioni per la propria fede nel Signore Gesù. L’annuncio della sua vittoriosa risurrezione infonda in loro coraggio e fiducia.

Cari fratelli e sorelle! Cristo risorto cammina davanti a noi verso i nuovi cieli e la terra nuova (cfr Ap 21,1), in cui finalmente vivremo tutti come un’unica famiglia, figli dello stesso Padre. Lui è con noi fino alla fine dei tempi. Camminiamo dietro a Lui, in questo mondo ferito, cantando l’alleluia. Nel nostro cuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisi e lacrime. Così è la nostra realtà terrena. Ma Cristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Per questo cantiamo e camminiamo, fedeli al nostro impegno in questo mondo, con lo sguardo rivolto al Cielo.

Buona Pasqua a tutti!

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Il Papa: Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio

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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 23.04.2011

Alle ore 21 il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.
La Veglia ha inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e l’accensione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare con il cero pasquale e il canto dell’Exsultet, fanno seguito la Liturgia della Parola, la Liturgia Battesimale e la Liturgia Eucaristica, concelebrata con i Cardinali.
Nel corso della Liturgia Battesimale il Papa amministra i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a sei catecumeni provenienti da diversi Paesi
.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Due grandi segni caratterizzano la celebrazione liturgica della Veglia Pasquale. C’è innanzitutto il fuoco che diventa luce. La luce del cero pasquale, che nella processione attraverso la chiesa avvolta nel buio della notte diventa un’onda di luci, ci parla di Cristo quale vera stella del mattino, che non tramonta in eterno – del Risorto nel quale la luce ha vinto le tenebre. Il secondo segno è l’acqua. Essa richiama, da una parte, le acque del Mar Rosso, lo sprofondamento e la morte, il mistero della Croce. Poi però ci si presenta come acqua sorgiva, come elemento che dà vita nella siccità. Diventa così l’immagine del Sacramento del Battesimo, che ci rende partecipi della morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Della liturgia della Veglia Pasquale, tuttavia, fanno parte non soltanto i grandi segni della creazione, luce e acqua.

Caratteristica del tutto essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro con la parola della Sacra Scrittura. Prima della riforma liturgica c’erano dodici letture veterotestamentarie e due neotestamentarie. Quelle del Nuovo Testamento sono rimaste. Il numero delle letture dell’Antico Testamento è stato fissato a sette, ma può, a seconda delle situazioni locali, essere ridotto anche a tre letture. La Chiesa vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele fino alle testimonianze profetiche, con le quali tutta questa storia si dirige sempre più chiaramente verso Gesù Cristo. Nella tradizione liturgica tutte queste letture venivano chiamate profezie. Anche quando non sono direttamente preannunci di avvenimenti futuri, esse hanno un carattere profetico, ci mostrano l’intimo fondamento e l’orientamento della storia. Esse fanno in modo che la creazione e la storia diventino trasparenti all’essenziale. Così ci prendono per mano e ci conducono verso Cristo, ci mostrano la vera Luce.

Il cammino attraverso le vie della Sacra Scrittura comincia, nella Veglia Pasquale, con il racconto della creazione. Con ciò la liturgia vuole dirci che anche il racconto della creazione è una profezia. Non è un’informazione sullo svolgimento esteriore del divenire del cosmo e dell’uomo. I Padri della Chiesa ne erano ben consapevoli. Non intesero tale racconto come narrazione sullo svolgimento delle origini delle cose, bensì quale rimando all’essenziale, al vero principio e al fine del nostro essere. Ora, ci si può chiedere: ma è veramente importante nella Veglia Pasquale parlare anche della creazione? Non si potrebbe cominciare con gli avvenimenti in cui Dio chiama l’uomo, si forma un popolo e crea la sua storia con gli uomini sulla terra? La risposta deve essere: no. Omettere la creazione significherebbe fraintendere la stessa storia di Dio con gli uomini, sminuirla, non vedere più il suo vero ordine di grandezza. Il raggio della storia che Dio ha fondato giunge fino alle origini, fino alla creazione. La nostra professione di fede inizia con le parole: “Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Se omettiamo questo primo articolo del Credo, l’intera storia della salvezza diventa troppo ristretta e troppo piccola. La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio e quindi con il principio di ogni cosa. Per questo Dio ci riguarda come Creatore, e per questo abbiamo una responsabilità per la creazione. La nostra responsabilità si estende fino alla creazione, perché essa proviene dal Creatore. Solo perché Dio ha creato il tutto, può darci vita e guidare la nostra vita. La vita nella fede della Chiesa non abbraccia soltanto un ambito di sensazioni e di sentimenti e forse di obblighi morali. Essa abbraccia l’uomo nella sua interezza, dalle sue origini e in prospettiva dell’eternità. Solo perché la creazione appartiene a Dio, noi possiamo far affidamento su di Lui fino in fondo. E solo perché Egli è Creatore, può darci la vita per l’eternità. La gioia per la creazione, la gratitudine per la creazione e la responsabilità per essa vanno una insieme all’altra.

Il messaggio centrale del racconto della creazione si lascia determinare ancora più precisamente. San Giovanni, nelle prime parole del suo Vangelo, ha riassunto il significato essenziale di tale racconto in quest’unica frase: “In principio era il Verbo”.

In effetti, il racconto della creazione che abbiamo ascoltato prima è caratterizzato dalla frase che ricorre con regolarità: “Dio disse…”. Il mondo è un prodotto della Parola, del Logos, come si esprime Giovanni con un termine centrale della lingua greca. “Logos” significa “ragione”, “senso”, “parola”. Non è soltanto ragione, ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, l'assenza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con San Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. Per questo è cosa buona essere una persona umana. Non è così che nell’universo in espansione, alla fine, in un piccolo angolo qualsiasi del cosmo si formò per caso anche una qualche specie di essere vivente, capace di ragionare e di tentare di trovare nella creazione una ragione o di portarla in essa. Se l’uomo fosse soltanto un tale prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome è Ragione, essa ha creato anche la libertà; e siccome della libertà si può fare uso indebito, esiste anche ciò che è avverso alla creazione. Per questo si estende, per così dire, una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama così tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata.

Il racconto veterotestamentario della creazione, che abbiamo ascoltato, indica chiaramente quest’ordine delle realtà. Ma ci fa fare un passo ancora più avanti. Ha strutturato il processo della creazione nel quadro di una settimana che va verso il Sabato, trovando in esso il suo compimento. Per Israele, il Sabato era il giorno in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, in cui uomo e animale, padrone e schiavo, grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. In questo modo, la comunione tra Dio e uomo non appare come qualcosa di aggiunto, instaurato successivamente in un mondo la cui creazione era già terminata. L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione. Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio.

A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora fare ancora un ulteriore passo. Il Sabato è il settimo giorno della settimana. Dopo sei giorni, in cui l’uomo partecipa, in un certo senso, al lavoro della creazione di Dio, il Sabato è il giorno del riposo. Ma nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno. Come giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno come giorno dell’incontro con il Risorto. Questo incontro avviene sempre nuovamente nella celebrazione dell’Eucaristia, in cui il Signore entra di nuovo in mezzo ai suoi e si dona a loro, si lascia, per così dire, toccare da loro, si mette a tavola con loro. Questo cambiamento è un fatto straordinario, se si considera che il Sabato, il settimo giorno come giorno dell’incontro con Dio, è profondamente radicato nell’Antico Testamento. Se teniamo presente quanto il corso dal lavoro verso il giorno del riposo corrisponda anche ad una logica naturale, la drammaticità di tale svolta diventa ancora più evidente. Questo processo rivoluzionario, che si è verificato subito all’inizio dello sviluppo della Chiesa, è spiegabile soltanto col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, è il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo, ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto.
Celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perché ora, grazie al Risorto, vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine del racconto della creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Amen.

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venerdì 22 aprile 2011

Il Papa: La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

LE MEDITAZIONI DI SUOR MARIA RITA PICCIONE PER LA VIA CRUCIS AL COLOSSEO (22 APRILE 2011)

VIA CRUCIS AL COLOSSEO: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA VIA CRUCIS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

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Via Crucis al Colosseo, Benedetto XVI: la Croce segno dell'amore (Muolo)

Via Crucis, meditazione: riconoscere le nostre infedeltà. Il Papa: fissiamo lo sguardo su su quella Croce innalzata sul Golgota, che collega la terra con il Cielo (Izzo)

Il Papa: Il vuoto di senso e di valori annulla l'opera educativa e il disordine del cuore sfregia l'ingenuità dei piccoli e dei deboli (Gagliarducci)

Le meditazioni della Via Crucis lette da Piera Degli Esposti ed Orazio Coclite. Con il Papa due piccoli lettori e quattro gemellini (Izzo)

VIA CRUCIS AL COLOSSEO: FOTO ANSA

Il Papa dona speranza rispondendo in tv a domande da tutto il mondo (Zenit)

Il Papa alla Via Crucis: Non vogliamo andare via da Cristo (Sir)

VIA CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE, 22.04.2011

Questa sera, alle ore 21.15, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto al Colosseo il pio esercizio della Via Crucis, trasmesso in mondovisione.
I testi delle meditazioni e delle preghiere proposte quest’anno per le stazioni della Via Crucis sono stati composti da Sr. Maria Rita Piccione, dell’Ordine di Sant’Agostino, del Monastero dei Santi Quattro Coronati in Roma.
Al termine della Via Crucis, il Papa ha rivolto ai presenti e a quanti lo seguivano attraverso la radio e la televisione, le parole che riportiamo di seguito:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

questa notte abbiamo accompagnato nella fede Gesù che percorre l’ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario. Abbiamo ascoltato il clamore della folla, le parole della condanna, la derisione dei soldati, il pianto della Vergine Maria e delle donne. Ora siamo immersi nel silenzio di questa notte, nel silenzio della croce, nel silenzio della morte.
E’ un silenzio che porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male. Questa notte abbiamo rivissuto, nel profondo del nostro cuore, il dramma di Gesù, carico del dolore, del male, del peccato dell’uomo.
Che cosa rimane ora davanti ai nostri occhi? Rimane un Crocifisso; una Croce innalzata sul Golgota, una Croce che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio, di Colui che aveva parlato della forza del perdono e della misericordia, che aveva invitato a credere nell’amore infinito di Dio per ogni persona umana. Disprezzato e reietto dagli uomini, davanti a noi sta l’«uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (Is 53,3).
Ma guardiamo bene quell’uomo crocifisso tra la terra e il Cielo, contempliamolo con uno sguardo più profondo, e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui.

La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra.

In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di sant’Agostino: «Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com'è vero che io non ho ricusato d'assaporare i mali della mensa vostra... Vi ho promesso la mia vita... Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita... È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco… è l'amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me… è partecipare della mia vita» (cfr Discorso 231, 5).
Fissiamo il nostro sguardo su Gesù Crocifisso e chiediamo nella preghiera: Illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della Croce, fa’ morire in noi l’«uomo vecchio», legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici «uomini nuovi», uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore

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IL PAPA RISPONDE IN TV ALLE DOMANDE DEI FEDELI. LA TRASCRIZIONE DELLO STORICO EVENTO

PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA IL PAPA RISPONDE, IN TV, AD ALCUNE DOMANDE DEI FEDELI SU GESU': LO SPECIALE DEL BLOG

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

LE RISPOSTE DEL PAPA ALLE DOMANDE DEI TELESPETTATORI: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

INTERVISTA A BENEDETTO XVI TRASMESSA IN ITALIA NEL PROGRAMMA DI RAI UNO «A SUA IMMAGINE. DOMANDE SU GESÙ»

Venerdì Santo, 22 aprile 2011

D. Santo Padre, voglio dirLe grazie per questa Sua presenza che ci riempie di gioia e ci aiuta a ricordare che oggi è il giorno in cui Gesù dimostra nel modo più radicale il Suo amore, cioè morendo in Croce da innocente. E proprio sul tema del dolore innocente è la prima domanda che arriva da una bambina giapponese di sette anni, che Le dice: “Mi chiamo Elena, sono giapponese ed ho sette anni. Ho tanta paura perché la casa in cui mi sentivo sicura ha tremato, tanto tanto, e molti miei coetanei sono morti. Non posso andare a giocare nel parco. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché i bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di spiegarmelo”.

R. Cara Elena, ti saluto di cuore. Anche a me vengono le stesse domande: perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. Questo mi sembra molto importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra parte, e siate sicuri che questo vi aiuterà. E un giorno potremo anche capire perché era così. In questo momento mi sembra importante che sappiate: “Dio mi ama”, anche se sembra che non mi conosca. No, mi ama, sta dalla mia parte, e dovete essere sicuri che nel mondo, nell’universo, tanti sono con voi, pensano a voi, fanno per quanto possono qualcosa per voi, per aiutarvi. Ed essere consapevoli che, un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che dietro di essa c’è un progetto buono, un progetto di amore. Non è un caso. Stai sicura, noi siamo con te, con tutti i bambini giapponesi che soffrono, vogliamo aiutarvi con la preghiera, con i nostri atti e siate sicuri che Dio vi aiuta. E in questo senso preghiamo insieme perché per voi venga luce quanto prima.

D. La seconda domanda ci presenta un calvario, perché abbiamo una mamma sotto la croce di un figlio. E’ italiana, si chiama Maria Teresa questa mamma, e Le dice: “Santità, l’anima di questo mio figlio Francesco, in stato vegetativo dal giorno di Pasqua 2009, ha abbandonato il suo corpo, visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui?”

R. Certamente l’anima è ancora presente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra le cui corde sono spezzate, così non si possono suonare. Così anche lo strumento del corpo è fragile, è vulnerabile, e l’anima non può suonare, per così dire, ma rimane presente. Io sono anche sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un amore la sente. E perciò questa vostra presenza, cari genitori, cara mamma, accanto a lui, ore ed ore ogni giorno, è un atto vero di amore di grande valore, perché questa presenza entra nella profondità di quest’anima nascosta e il vostro atto è, quindi, anche una testimonianza di fede in Dio, di fede nell’uomo, di fede, diciamo di impegno per la vita, di rispetto per la vita umana, anche nelle situazioni più tristi. Quindi vi incoraggio a continuare, a sapere che fate un grande servizio all’umanità con questo segno di fiducia, con questo segno di rispetto della vita, con questo amore per un corpo lacerato, un’anima sofferente.

D. La terza domanda ci porta in Iraq, tra i giovani di Baghdad, cristiani perseguitati che Le mandano questa domanda: “Salute al Santo Padre dall’Iraq – dicono – Noi cristiani di Baghdad siamo stati perseguitati come Gesù. Santo Padre, secondo Lei, in che modo possiamo aiutare la nostra comunità cristiana a riconsiderare il desiderio di emigrare in altri Paesi, convincendola che partire non è l’unica soluzione?”

R. Vorrei innanzitutto salutare di cuore tutti i cristiani dell’Iraq, nostri fratelli, e devo dire che prego ogni giorno per i cristiani in Iraq. Sono i nostri fratelli sofferenti, come anche in altre terre del mondo, e quindi sono particolarmente vicini al nostro cuore e noi dobbiamo fare, per quanto possiamo, il possibile perché possano rimanere, perché possano resistere alla tentazione di migrare, perché è molto comprensibile nelle condizioni nelle quali vivono. Io direi che è importante che noi siamo vicini a voi, cari fratelli in Iraq, che noi vogliamo aiutarvi, anche quando venite, ricevervi realmente come fratelli. E naturalmente, le istituzioni, tutti coloro che hanno realmente una possibilità di fare qualcosa in Iraq per voi, devono farlo. La Santa Sede è in permanente contatto con le diverse comunità, non solo con le comunità cattoliche, con le altre comunità cristiane, ma anche con i fratelli musulmani, sia sciiti, sia sunniti. E vogliamo fare un lavoro di riconciliazione, di comprensione, anche con il governo, aiutarlo in questo cammino difficile di ricomporre una società lacerata. Perché questo è il problema, che la società è profondamente divisa, lacerata, che non c’è più questa consapevolezza: “Noi siamo nelle diversità un popolo con una storia comune, dove ognuno ha il suo posto”. E devono ricostruire questa consapevolezza che, nella diversità, hanno una storia in comune, una comune determinazione. E noi vogliamo, in dialogo, proprio con i diversi gruppi, aiutare il processo di ricostruzione e incoraggiare voi, cari fratelli cristiani in Iraq, di avere fiducia, di avere pazienza, di avere fiducia in Dio, di collaborare in questo processo difficile. Siate sicuri della nostra preghiera.

D. La prossima domanda Le viene rivolta da una donna musulmana della Costa d’Avorio, un Paese in guerra da anni. Questa signora, si chiama Bintù, e Le manda un saluto in arabo che suona così: “Che Dio sia in mezzo a tutte le parole che ci diremo e che Dio sia con te”. È un’espressione che loro usano quando cominciano un discorso. E poi continua in francese: “Caro Santo Padre, qui in Costa d’Avorio abbiamo sempre vissuto in armonia tra cristiani e musulmani. Le famiglie sono spesso formate da membri di entrambe le religioni; esiste anche una diversità di etnie, ma non abbiamo mai avuto problemi. Ora tutto è cambiato: la crisi che viviamo, causata dalla politica, sta seminando divisioni. Quanti innocenti hanno perso la vita! Quanti sfollati, quante mamme e quanti bambini traumatizzati! I messaggeri hanno esortato alla pace, i profeti hanno esortato alla pace. Gesù è un uomo di pace. Lei, in quanto ambasciatore di Gesù, cosa consiglierebbe per il nostro Paese?"

R. Vorrei rispondere al saluto: Dio sia anche con te, ti aiuti sempre. E devo dire che ho ricevuto lettere laceranti dalla Costa d'Avorio, dove vedo tutta la tristezza, la profondità della sofferenza, e rimango triste che possiamo fare così poco. Possiamo fare una cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo opere di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre possibilità, i contatti politici, umani. Ho incaricato il card. Turkson, che è presidente del nostro Consiglio Giustizia e Pace di andare in Costa d’Avorio e di cercare di mediare, di parlare con i diversi gruppi, con le diverse persone per incoraggiare un nuovo inizio. E soprattutto vogliamo far sentire la voce di Gesù, che anche Lei crede come profeta. Lui era sempre l’uomo della pace. Ci si poteva aspettare che, quando Dio viene in terra, sarà un uomo di grande forza, distruggerebbe le potenze avverse, che sarebbe un uomo di una violenza forte come strumento di pace. Niente di questo: è venuto debole, è venuto solo con la forza dell’amore, totalmente senza violenza fino ad andare alla croce. E questo ci mostra il vero volto di Dio, che la violenza non viene mai da Dio, mai aiuta a dare le cose buone, ma è un mezzo distruttivo e non è il cammino per uscire dalle difficoltà. Quindi è una forte voce contro ogni tipo di violenza. E invito fortemente tutte le parti a rinunciare alla violenza, a cercare le vie della pace. Non potete servire la ricomposizione del vostro popolo con mezzi di violenza, anche se pensate di avere ragione. L’unica via è rinunciare alla violenza, ricominciare con il dialogo, con tentativi di trovare insieme la pace, con la nuova attenzione l’uno per l’altro, con la nuova disponibilità ad aprirsi l’uno all’altro. E questo, cara Signora, è il vero messaggio di Gesù: cercate la pace con i mezzi della pace e lasciate la violenza. Noi preghiamo per voi, che tutti i componenti della vostra società sentano questa voce di Gesù e che così ritorni la pace e la comunione.

D. Santo Padre, la prossima domanda è sul tema della morte e della Risurrezione di Gesù, e arriva dall’Italia. Gliela leggo: “Santità, che cosa fa Gesù nel lasso di tempo tra la morte e la Risurrezione? E visto che nella recita del Credo si dice che Gesù, dopo la morte, discese negli Inferi, possiamo pensare che sarà una cosa che accadrà anche a noi, dopo la morte, prima di salire al Cielo?”

R. Innanzitutto, questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro.
È un viaggio dell’anima. Dobbiamo tener presente che l’anima di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato.
Questa parola della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi. I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto. E crea così l’accesso a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio. Lui stesso, essendo uomo, prendendo in mano l’uomo, apre l’accesso, apre cosa? La realtà che noi chiamiamo Cielo. Quindi questa discesa agli Inferi, cioè nelle profondità dell’essere umano, nelle profondità del passato dell’umanità, è una parte essenziale della missione di Gesù, della sua missione di Redentore e non si applica a noi. La nostra vita è diversa, noi siamo già redenti dal Signore e noi arriviamo davanti al volto del Giudice, dopo la nostra morte, sotto lo sguardo di Gesù, e questo sguardo da una parte sarà purificante: penso che tutti noi, in maggiore o minore misura, avremo bisogno di purificazione. Lo sguardo di Gesù ci purifica e poi ci rende capaci di vivere con Dio, di vivere con i Santi, di vivere soprattutto in comunione con i nostri cari che ci hanno preceduto.

D. Anche la prossima domanda è sul tema della Risurrezione e arriva dall’Italia: “Santità, quando le donne giungono al sepolcro, la domenica dopo la morte di Gesù, non riconoscono il Maestro, lo confondono con un altro. Succede anche agli Apostoli: Gesù deve mostrare le ferite, spezzare il pane per essere riconosciuto, appunto, dai gesti. È un corpo vero, di carne, ma anche un corpo glorioso. Il fatto che il suo corpo risorto non abbia le stesse fattezze di quello di prima, che cosa vuol dire? Cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la Risurrezione sarà per noi così?”

R. Naturalmente, non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze. Possiamo solo registrare i segni che Gesù ci ha dato per capire almeno un po’ in quale direzione dobbiamo cercare questa realtà.
Primo segno: la tomba è vuota. Cioè, Gesù non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta. Gesù ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha anche la promessa dell’eternità. Ma poi ha assunto questa materia in una nuova condizione di vita, questo è il secondo punto: Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché sottomesso a queste uno muore.
Quindi c’è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo, ma che si mostra nel fatto di Gesù, ed è la grande promessa per noi tutti che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino. E, essendo in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica, come noi la viviamo. E sappiamo che, da una parte, è un vero uomo, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa. È importante capire questo, almeno in quanto si può, per l’Eucaristia: nell’Eucaristia, il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso, questa novità che Lui è, entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona, e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza. E’ un punto importante, perché così siamo già in contatto con questa nuova vita, questo nuovo tipo di vita, essendo Lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione di vita. Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che Lui si dà a me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia, sempre, di nuovo, nell’Eucaristia.

D. Santo Padre, l’ultima domanda è su Maria. Sotto la croce, assistiamo ad un dialogo toccante tra Gesù, sua madre e Giovanni, nel quale Gesù dice a Maria: “Ecco tuo Figlio”, e a Giovanni: “Ecco tua madre”. Nel suo ultimo libro, “Gesù di Nazaret”, Lei lo definisce “un’ultima disposizione di Gesù”. Come dobbiamo intendere queste parole? Che significato avevano in quel momento e che significato hanno oggi? E in tema di affidamento, ha in cuore di rinnovare una consacrazione alla Vergine all’inizio di questo nuovo millennio?

R. Queste parole di Gesù sono soprattutto un atto molto umano. Vediamo Gesù come vero uomo che fa un atto di uomo, un atto di amore per la madre e affida la madre al giovane Giovanni perché sia sicura. Una donna sola, in Oriente, in quel tempo, era in una situazione impossibile. Affida la mamma a questo giovane e al giovane dà la mamma, quindi Gesù realmente agisce da uomo con un sentimento profondamente umano. Questo mi sembra molto bello, molto importante, che prima di ogni teologia vediamo in questo la vera umanità, il vero umanesimo di Gesù. Ma naturalmente questo attua diverse dimensioni, non riguarda solo questo momento, ma concerne tutta la storia. In Giovanni Gesù affida tutti noi, tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. E questo si è realizzato nel corso della storia: sempre più l’umanità e i cristiani hanno capito che la madre di Gesù è la loro madre. E sempre più si sono affidati alla Madre: pensiamo ai grandi santuari, pensiamo a questa devozione per Maria dove sempre più la gente sente “Questa è la Madre”. E anche alcuni che quasi hanno difficoltà di accesso a Gesù nella sua grandezza di Figlio di Dio, si affidano senza difficoltà alla Madre. Qualcuno dice: “Ma questo non ha fondamento biblico!”. Qui risponderei con San Gregorio Magno: “Con il leggere - egli dice - crescono le parole della Scrittura”. Cioè, si sviluppano nella realtà, crescono, e sempre più nella storia si sviluppa questa Parola. Vediamo come tutti possiamo essere grati perché la Madre c’è realmente, a noi tutti è data una madre. E possiamo con grande fiducia andare da questa Madre, che anche per ognuno dei cristiani è sua Madre. E d’altra parte vale anche che la Madre esprime pure la Chiesa. Non possiamo essere cristiani da soli, con un cristianesimo costruito secondo la mia idea. La Madre è immagine della Chiesa, della Madre Chiesa, e affidandoci a Maria dobbiamo anche affidarci alla Chiesa, vivere la Chiesa, essere la Chiesa con Maria. E così arrivo al punto dell’affidamento: i Papi – sia Pio XII, sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II – hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi sembra, come gesto davanti all’umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto importante. Io penso che adesso sia importante di interiorizzare questo atto, di lasciarci penetrare, di realizzarlo in noi stessi. In questo senso, sono andato in alcuni grandi santuari mariani nel mondo: Lourdes, Fatima, Czestochowa, Altötting…, sempre con questo senso di concretizzare, di interiorizzare questo atto di affidamento, perché diventi realmente il nostro atto. Penso che l’atto grande, pubblico, sia stato fatto.
Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro.
Per esempio, a Fatima ho visto come le migliaia di persone presenti sono realmente entrate in questo affidamento, si sono affidate, hanno concretizzato in se stesse, per se stesse, questo affidamento. Così esso diventa realtà nella Chiesa vivente e così cresce anche la Chiesa. L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria, ci rende Chiesa, ci rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Quindi, al momento non avrei l’intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di Gesù.

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giovedì 21 aprile 2011

Benedetto XVI: Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre

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SANTA MESSA "NELLA CENA DEL SIGNORE" NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 21.04.2011

Alle ore 17.30 di oggi, Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".
Nel corso della Liturgia, il Papa compie il rito della lavanda dei piedi a dodici sacerdoti della diocesi di Roma.
Al momento della presentazione dei doni è affidata al Santo Padre un’offerta per le vittime del terremoto e dello tsunami in Giappone.
Al termine della Celebrazione ha luogo la traslazione del SS.mo Sacramento alla Cappella della reposizione.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

"Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione" (Lc 22,15): con queste parole Gesù ha inaugurato la celebrazione del suo ultimo convito e dell’istituzione della santa Eucaristia. Gesù è andato incontro a quell’ora desiderandola. Nel suo intimo ha atteso quel momento in cui avrebbe donato se stesso ai suoi sotto le specie del pane e del vino.
Ha atteso quel momento che avrebbe dovuto essere in qualche modo le vere nozze messianiche: la trasformazione dei doni di questa terra e il diventare una cosa sola con i suoi, per trasformarli ed inaugurare così la trasformazione del mondo. Nel desiderio di Gesù possiamo riconoscere il desiderio di Dio stesso – il suo amore per gli uomini, per la sua creazione, un amore in attesa. L’amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19). Gesù ha desiderio di noi, ci attende.

E noi, abbiamo veramente desiderio di Lui? C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni di altro?

Dalle parabole di Gesù sui banchetti sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. I posti vuoti al banchetto nuziale del Signore, con o senza scuse, sono per noi, ormai da tempo, non una parabola, bensì una realtà presente, proprio in quei Paesi ai quali Egli aveva manifestato la sua vicinanza particolare. Gesù sapeva anche di ospiti che sarebbero sì venuti, ma senza essere vestiti in modo nuziale – senza gioia per la sua vicinanza, seguendo solo un’abitudine, e con tutt’altro orientamento della loro vita. San Gregorio Magno, in una delle sue omelie, si domandava: Che genere di persone sono quelle che vengono senza abito nuziale? In che cosa consiste questo abito e come lo si acquista? La sua risposta è: Quelli che sono stati chiamati e vengono hanno in qualche modo fede. È la fede che apre loro la porta. Ma manca loro l’abito nuziale dell’amore. Chi vive la fede non come amore non è preparato per le nozze e viene mandato fuori. La comunione eucaristica richiede la fede, ma la fede richiede l’amore, altrimenti è morta anche come fede.
Da tutti e quattro i Vangeli sappiamo che l’ultimo convito di Gesù prima della Passione fu anche un luogo di annuncio. Gesù ha proposto ancora una volta con insistenza gli elementi portanti del suo messaggio. Parola e Sacramento, messaggio e dono stanno inscindibilmente insieme. Ma durante l’ultimo convito, Gesù ha soprattutto pregato. Matteo, Marco e Luca usano due parole per descrivere la preghiera di Gesù nel punto centrale della Cena: “eucharistesas” ed “eulogesas” – “ringraziare” e “benedire”. Il movimento ascendente del ringraziare e quello discendente del benedire vanno insieme. Le parole della transustanziazione sono parte di questa preghiera di Gesù. Sono parole di preghiera. Gesù trasforma la sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini. Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso. Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati. Lo scopo proprio e ultimo della trasformazione eucaristica è la nostra stessa trasformazione nella comunione con Cristo. L’Eucaristia ha di mira l’uomo nuovo, il mondo nuovo così come esso può nascere soltanto a partire da Dio mediante l’opera del Servo di Dio.
Da Luca e soprattutto da Giovanni sappiamo che Gesù nella sua preghiera durante l’Ultima Cena ha anche rivolto suppliche al Padre – suppliche che al tempo stesso contengono appelli ai suoi discepoli di allora e di tutti i tempi.

Vorrei in quest’ora scegliere soltanto una supplica che, secondo Giovanni, Gesù ha ripetuto quattro volte nella sua Preghiera sacerdotale. Quanto deve averLo angustiato nel suo intimo! Essa rimane continuamente la sua preghiera al Padre per noi: è la preghiera per l’unità. Gesù dice esplicitamente che tale supplica non vale soltanto per i discepoli allora presenti, ma ha di mira tutti coloro che crederanno in Lui (cfr Gv 17,20). Chiede che tutti diventino una sola cosa “come tu, Padre, sei in me e io in te … perché il mondo creda” (Gv 17,21).

L’unità dei cristiani può esserci soltanto se i cristiani sono intimamente uniti a Lui, a Gesù. Fede e amore per Gesù, fede nel suo essere uno col Padre e apertura all’unità con Lui sono essenziali. Questa unità non è dunque una cosa soltanto interiore, mistica. Deve diventare visibile, così visibile da costituire per il mondo la prova della missione di Gesù da parte del Padre. Per questo tale supplica ha un nascosto senso eucaristico che Paolo ha chiaramente evidenziato nella Prima Lettera ai Corinzi: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16s).

Con l’Eucaristia nasce la Chiesa. Noi tutti mangiamo lo stesso pane, riceviamo lo stesso corpo del Signore e questo significa: Egli apre ciascuno di noi al di là di se stesso. Egli ci rende tutti una cosa sola. L’Eucaristia è il mistero dell’intima vicinanza e comunione di ogni singolo col Signore. Ed è, al tempo stesso, l’unione visibile tra tutti. L’Eucaristia è Sacramento dell’unità. Essa giunge fin nel mistero trinitario, e crea così al contempo l’unità visibile. Diciamolo ancora una volta: essa è l’incontro personalissimo col Signore e, tuttavia, non è mai soltanto un atto di devozione individuale.

La celebriamo necessariamente insieme. In ogni comunità vi è il Signore in modo totale. Ma Egli è uno solo in tutte le comunità. Per questo, della Preghiera eucaristica della Chiesa fanno necessariamente parte le parole: “una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro”. Questa non è un’aggiunta esteriore a ciò che avviene interiormente, bensì espressione necessaria della realtà eucaristica stessa. E menzioniamo il Papa e il Vescovo per nome: l’unità è del tutto concreta, ha dei nomi. Così l’unità diventa visibile, diventa segno per il mondo e stabilisce per noi stessi un criterio concreto.

San Luca ci ha conservato un elemento concreto della preghiera di Gesù per l’unità: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31s).

Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, che attraverso le acque agitate della storia va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque. Ma poi segue un annuncio e un incarico. “Tu, una volta convertito…”:

Tutti gli esseri umani, eccetto Maria, hanno continuamente bisogno di conversione. Gesù predice a Pietro la sua caduta e la sua conversione. Da che cosa Pietro ha dovuto convertirsi? All’inizio della sua chiamata, spaventato dal potere divino del Signore e dalla propria miseria, Pietro aveva detto: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!” (Lc 5,8).

Alla luce del Signore egli riconosce la sua insufficienza. Proprio così, nell’umiltà di chi sa di essere peccatore, egli viene chiamato. Egli deve sempre di nuovo ritrovare questa umiltà. Presso Cesarea di Filippo Pietro non aveva voluto accettare che Gesù avrebbe dovuto soffrire ed essere crocifisso. Ciò non era conciliabile con la sua immagine di Dio e del Messia. Nel cenacolo egli non ha voluto accettare che Gesù gli lavasse i piedi: ciò non si adattava alla sua immagine della dignità del Maestro. Nell’orto degli ulivi ha colpito con la spada. Voleva dimostrare il suo coraggio. Davanti alla serva, però, ha affermato di non conoscere Gesù. In quel momento ciò gli sembrava una piccola bugia, per poter rimanere nelle vicinanze di Gesù. Il suo eroismo è crollato in un gioco meschino per un posto al centro degli avvenimenti. Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri.

Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro. In quest’ora vogliamo pregarLo di guardare anche a noi come ha guardato Pietro, nel momento opportuno, con i suoi occhi benevoli, e di convertirci.

Pietro, il convertito, è chiamato a confermare i suoi fratelli. Non è un fatto esteriore che questo compito gli venga affidato nel cenacolo. Il servizio dell’unità ha il suo luogo visibile nella celebrazione della santa Eucaristia.

Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre.

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Signore, tu hai desiderio di noi, di me. Tu hai desiderio di partecipare te stesso a noi nella santa Eucaristia, di unirti a noi. Signore, suscita anche in noi il desiderio di te. Rafforzaci nell’unità con te e tra di noi. Dona alla tua Chiesa l’unità, perché il mondo creda. Amen.

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Il Papa: Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del Cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!"

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SANTA MESSA DEL CRISMA: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

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Le omelie del Giovedì Santo nel commento di Vecchi

Nonostante gli scandali siano per lo più accaduti nel passato, e talvolta in un passato remoto, Benedetto XVI non si è tirato indietro. Non ha tuonato contro le campagne mediatiche, ha assunto su di sé la responsabilità (Tornielli)

Scaramuzzi commenta le omelie di ieri ed omaggia il grande impegno di Benedetto XVI contro gli abusi nella Chiesa consumati decenni fa ma emersi solo ora

Guida alla lettura dei post (e dei titoli) di questa mattina

Il Papa: Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede (Rossani)

Nel linguaggio limpido che lo contraddistingue, Benedetto XVI non nasconde le preoccupazioni per la Chiesa che guida (Il Giornale)

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Molto bello ed aderente ai testi il servizio di Lucio Brunelli per il TG2

Il Papa: Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede. L'umanità dolente è alla ricerca di Dio (Izzo)

Dal Papa un’omelia intensa per meditare sul valore degli oli sacri, ma soprattutto per interrogarsi su cosa significhi oggi essere Cristiani. Il commento di Radio Vaticana

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Un'altra straordinaria "catechesi" del Papa: alla Messa Crismale Benedetto spiega il significato degli "oli santi"

Domanda per i giornaloni online: dove e quando, nell'omelia di stamattina, il Papa ha citato la parola "pedofilia"?

SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA, 21.04.2011

Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.
La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre con i Cardinali, i Vescovi ed i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.
Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Al centro della liturgia di questa mattina sta la benedizione degli oli sacri – dell’olio per l’unzione dei catecumeni, di quello per l’unzione degli infermi e del crisma per i grandi Sacramenti che conferiscono lo Spirito Santo: Confermazione, Ordinazione sacerdotale e Ordinazione episcopale. Nei Sacramenti il Signore ci tocca per mezzo degli elementi della creazione. L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero. Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro dell'uomo.
Il Signore li ha scelti come portatori della sua presenza. L’olio è simbolo dello Spirito Santo e, al tempo stesso, ci rimanda a Cristo: la parola “Cristo” (Messia) significa “l’Unto”. L’umanità di Gesù, mediante l’unità del Figlio col Padre, è inserita nella comunione con lo Spirito Santo e così è “unta” in maniera unica, è penetrata dallo Spirito Santo. Ciò che nei re e nei sacerdoti dell’Antica Alleanza era avvenuto in modo simbolico nell’unzione con olio, con la quale venivano istituiti nel loro ministero, avviene in Gesù in tutta la sua realtà: la sua umanità è penetrata dalla forza dello Spirito Santo.

Egli apre la nostra umanità per il dono dello Spirito Santo. Quanto più siamo uniti a Cristo, tanto più veniamo colmati dal suo Spirito, dallo Spirito Santo. Noi ci chiamiamo “cristiani”: “unti” – persone che appartengono a Cristo e per questo partecipano alla sua unzione, sono toccate dal suo Spirito. Non voglio soltanto chiamarmi cristiano, ma voglio anche esserlo, ha detto sant’Ignazio d’Antiochia. Lasciamo che proprio questi oli sacri, che vengono consacrati in quest’ora, ci ricordino tale compito intrinseco della parola “cristiano” e preghiamo il Signore, affinché sempre più non solo ci chiamiamo cristiani, ma anche lo siamo.

Nella liturgia di questo giorno si benedicono, come già detto, tre oli. In tale triade si esprimono tre dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana, sulle quali ora vogliamo riflettere.

C’è innanzitutto l’olio dei catecumeni. Quest’olio indica come un primo modo di essere toccati da Cristo e dal suo Spirito – un tocco interiore col quale il Signore attira le persone vicino a sé. Mediante questa prima unzione, che avviene ancora prima del Battesimo, il nostro sguardo si rivolge quindi alle persone che si mettono in cammino verso Cristo – alle persone che sono alla ricerca della fede, alla ricerca di Dio. L’olio dei catecumeni ci dice: non solo gli uomini cercano Dio. Dio stesso si è messo alla ricerca di noi.

Il fatto che Egli stesso si sia fatto uomo e sia disceso negli abissi dell’esistenza umana, fin nella notte della morte, ci mostra quanto Dio ami l’uomo, sua creatura. Spinto dall’amore, Dio si è incamminato verso di noi. “Cercandomi Ti sedesti stanco … che tanto sforzo non sia vano!”, preghiamo nel Dies Irae. Dio è alla ricerca di me. Voglio riconoscerLo? Voglio essere da Lui conosciuto, da Lui essere trovato? Dio ama gli uomini. Egli viene incontro all’inquietudine del nostro cuore, all’inquietudine del nostro domandare e cercare, con l’inquietudine del suo stesso cuore, che lo induce a compiere l’atto estremo per noi. L’inquietudine nei confronti di Dio, l’essere in cammino verso di Lui, per conoscerLo meglio, per amarLo meglio, non deve spegnersi in noi. In questo senso dovremmo sempre rimanere catecumeni. “Ricercate sempre il suo volto”, dice un Salmo (105,4). Agostino, al riguardo, ha commentato: Dio è tanto grande da superare sempre infinitamente tutta la nostra conoscenza e tutto il nostro essere.

Il conoscere Dio non si esaurisce mai. Per tutta l’eternità possiamo, con una gioia crescente, sempre continuare a cercarLo, per conoscerLo sempre di più ed amarLo sempre di più. “Inquieto è il nostro cuore, finché non riposi in te”, ha detto Agostino all’inizio delle sue Confessioni. Sì, l’uomo è inquieto, perché tutto ciò che è temporale è troppo poco. Ma siamo veramente inquieti verso di Lui? Non ci siamo forse rassegnati alla sua assenza e cerchiamo di bastare a noi stessi? Non permettiamo simili riduzioni del nostro essere umano! Rimaniamo continuamente in cammino verso di Lui, nella nostalgia di Lui, nell’accoglienza sempre nuova di conoscenza e di amore!

C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi. Abbiamo davanti a noi la schiera delle persone sofferenti: gli affamati e gli assetati, le vittime della violenza in tutti i Continenti, i malati con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto. Circa il primo invio dei discepoli da parte di Gesù, san Luca ci narra: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2). Il guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie del Paese.

Certo, il compito principale della Chiesa è l’annuncio del regno di Dio. Ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: “…fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, viene detto oggi nella prima lettura dal profeta Isaia (61,1). L’annuncio del regno di Dio, della bontà illimitata di Dio, deve suscitare innanzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini. L’uomo per la sua stessa essenza è un essere in relazione. Se, però, è perturbata la relazione fondamentale, la relazione con Dio, allora anche tutto il resto è perturbato. Se il nostro rapporto con Dio è perturbato, se l’orientamento fondamentale del nostro essere è sbagliato, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell’anima. Per questo, la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. Ma oltre questo compito centrale fa parte della missione essenziale della Chiesa anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza. L’olio per l’Unzione degli infermi è espressione sacramentale visibile di questa missione. Fin dagli inizi è maturata nella Chiesa la chiamata a guarire, è maturato l’amore premuroso verso persone angustiate nel corpo e nell’anima. È questa anche l’occasione per ringraziare una volta tanto le sorelle e i fratelli che in tutto il mondo portano un amore risanatore agli uomini, senza badare alla loro posizione o confessione religiosa. Da Elisabetta di Turingia, Vincenzo de’ Paoli, Louise de Marillac, Camillo de Lellis fino a Madre Teresa – per ricordare soltanto alcuni nomi – attraversa il mondo una scia luminosa di persone, che ha origine nell’amore di Gesù per i sofferenti e i malati. Per questo ringraziamo in quest’ora il Signore. Per questo ringraziamo tutti coloro che, in virtù della fede e dell’amore, si mettono a fianco dei sofferenti, dando con ciò, in definitiva, testimonianza della bontà propria di Dio.

L’olio per l’Unzione degli infermi è segno di quest’olio della bontà del cuore, che queste persone – insieme con la loro competenza professionale – portano ai sofferenti. Senza parlare di Cristo, Lo manifestano.

Al terzo posto c’è infine il più nobile degli oli ecclesiali, il crisma, una mistura di olio di oliva e profumi vegetali. È l’olio dell’unzione sacerdotale e di quella regale, unzioni che si riallacciano alle grandi tradizioni d’unzione dell’Antica Alleanza. Nella Chiesa quest’olio serve soprattutto per l’unzione nella Confermazione e nelle Ordinazioni sacre. La liturgia di oggi collega con quest’olio le parole di promessa del profeta Isaia: “Voi sarete chiamati ‘sacerdoti del Signore’, ‘ministri del nostro Dio’ sarete detti” (61,6). Con ciò il profeta riprende la grande parola di incarico e di promessa, che Dio aveva rivolto a Israele presso il Sinai: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,6). Nel vasto mondo e per il vasto mondo, che in gran parte non conosceva Dio, Israele doveva essere come un santuario di Dio per la totalità, doveva esercitare una funzione sacerdotale per il mondo. Doveva portare il mondo verso Dio, aprirlo a Lui. San Pietro, nella sua grande catechesi battesimale, ha applicato tale privilegio e tale incarico di Israele all’intera comunità dei battezzati, proclamando: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio” (1Pt 2,9s).

Battesimo e Confermazione costituiscono l’ingresso in questo popolo di Dio, che abbraccia tutto il mondo; l’unzione nel Battesimo e nella Confermazione è un’unzione che introduce in questo ministero sacerdotale per l’umanità. I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto.

È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del Cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!

Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede; che anche oggi vi sono persone che, mediante la loro fede e il loro amore, danno speranza al mondo.

Quando il prossimo 1° maggio verrà beatificato Papa Giovanni Paolo II, penseremo pieni di gratitudine a lui quale grande testimone di Dio e di Gesù Cristo nel nostro tempo, quale uomo colmato di Spirito Santo. Insieme con lui pensiamo al grande numero di coloro che egli ha beatificato e canonizzato e che ci danno la certezza che la promessa di Dio e il suo incarico anche oggi non cadono nel vuoto. Mi rivolgo infine a voi, cari confratelli nel ministero sacerdotale. Il Giovedì Santo è in modo particolare il nostro giorno. Nell’ora dell’Ultima Cena il Signore ha istituito il sacerdozio neotestamentario. “Consacrali nella verità” (Gv 17,17), ha pregato il Padre – per gli Apostoli e per i sacerdoti di tutti i tempi. Con grande gratitudine per la vocazione e con umiltà per tutte le nostre insufficienze rinnoviamo in quest’ora il nostro “sì” alla chiamata del Signore: Sì, voglio unirmi intimamente al Signore Gesù – rinunciando a me stesso … spinto dall’amore di Cristo. Amen.

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