venerdì 30 novembre 2007

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ENCICLICA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI "SPE SALVI"


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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ENCICLICA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI "SPE SALVI" , 30.11.2007

Alle ore 11.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Enciclica del Santo Padre Benedetto XVI dal titolo Spe salvi, sulla speranza cristiana
Prendono parte alla Conferenza il Cardinale Georges Marie Martin Cottier, O.P., Pro-Teologo emerito della Casa Pontificia e il Cardinale Albert Vanhoye, S.I., Professore emerito di Esegesi del Nuovo Testamento, Pontificio Istituto Biblico.
Di seguito pubblichiamo gli interventi dei due Porporati
:


INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ALBERT VANHOYE, S.I.

All’inizio del tempo liturgico dell'Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI ci offre una Enciclica il cui tema è egregiamente confacente a questo tempo, un’Enciclica, cioè, sulla Speranza, illuminante, incoraggiante e stimolante.
In questa nuova enciclica ritroviamo il Papa profondo teologo e nel contempo pastore attento alle necessità del suo gregge. Accanto a riflessioni molto approfondite sui rapporti tra la speranza cristiana e la fede cristiana, nonché sull’evoluzione della mentalità moderna nei confronti della speranza cristiana, troviamo pagine commoventi su grandi testimoni della speranza, a cominciare da sant’Agostino (nn. 11-12, 15), che viveva in un’epoca drammatica, e fino ai tempi più recenti, quelli di santa Giuseppina Bakhita, (n. 3) un’africana del 1800, fatta schiava all’età di 9 anni, martoriata da crudeli padroni, ma finalmente liberata e nata alla speranza grazie all’incontro con il Dio dei cristiani, salvatore pieno di amore. Il Santo Padre cita anche lungamente una straordinaria lettera di un martire vietnamita del 1800, Paolo Le-Bao-Thin (n. 37), che subì "crudeli supplizi di ogni genere", ma rimaneva "pieno di gioia", perché non era solo, Cristo era con lui; egli scriveva: "Mentre infuria la tempesta, getto l’ancora fino al trono di Dio: speranza viva che è nel mio cuore…". Dei nostri tempi, l’Enciclica riferisce il caso dell’ "indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuan" il quale "da 13 anni di prigionia, di cui nove in isolamento … ci ha lasciato un prezioso libretto: Preghiere di speranza. Durante 13 anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il potergli parlare, divenne per lui una crescente forza di speranza" (nn. 31 e 34). Questi casi eccezionali manifestano bene il dinamismo intenso dell'esperienza cristiana.
La breve Introduzione dell'Enciclica (n. 1) dimostra subito l’importanza decisiva della speranza, che sarà poi ribadita più volte. Per poter affrontare il presente con tutti i suoi problemi e le sue difficoltà, abbiamo assolutamente bisogno di una speranza e di una speranza veramente valida e ferma.
Viene poi considerata "attentamente la testimonianza della Bibbia sulla speranza" (n. 2). "Speranza… è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole fede e speranza sembrano interscambiabili". Effettivamente, la fede cristiana non consiste anzitutto nell’accettare un certo numero di verità astratte, ma consiste nel dare la propria adesione personale alla persona di Cristo, per essere da lui salvati e introdotti nella comunione divina. La vera speranza ci viene data nell’incontro personale con il Dio vivo e vero per mezzo di Cristo (n. 3). Agli inizi del cristianesimo, la speranza cristiana veniva espressa e testimoniata perfino sui sarcofaghi cristiani nel modo di rappresentarvi Cristo come il vero filosofo che guida alla vita eterna e come il buon pastore (n. 6).
Nel n. 7, il Santo Padre osserva che il rapporto tra fede e speranza viene espresso nella Lettera agli Ebrei (11,1) in "una sorta di definizione della fede che intreccia strettamente questa virtù con la speranza". Il Papa riferisce in proposito di una disputa tra esegeti "sull’interpretazione di una parola greca, hypostasis, tradotta in latino con "substantia". L’interpretazione antica era oggettiva: "la fede è sostanza delle cose che si sperano, prova di cose che non si vedono." Così la relazione tra fede e speranza appare forte. Lutero, invece, al quale, scrive il Santo Padre, "il concetto di sostanza, nel contesto della sua visione della fede, non diceva niente", si decise per una interpretazione soggettiva: la fede come una disposizione soggettiva in rapporto a ciò che si spera, e una convinzione in rapporto a ciò che non si vede.
Il Papa osserva che questa interpretazione si è affermata anche nell’esegesi cattolica ed è stata adottata dalla traduzione ecumenica in lingua tedesca, approvata dai vescovi. Il Papa però prosegue, dicendo a ragione, che non è il senso del testo, perché il termine greco tradotto "convinzione" non ha mai questo senso, ma significa prova, mezzo per conoscere, e quindi il termine parallelo hypostasis deve anche avere il suo senso oggettivo, che è il suo senso normale. A conferma di questa posizione, il Papa cita una dichiarazione di un noto esegeta protestante, il quale nel Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, il Grande Lessico Teologico del Nuovo Testamento, dopo una seria indagine, conclude che l’interpretazione soggettiva è "insostenibile". "la fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire […]; essa ci dà qualcosa. Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa". Ne risulta che la speranza cristiana è sostanziosa.
Adoperando un altro passo della Lettera agli Ebrei (10,34), l’Enciclica esprime un contrasto tra due basi per la vita umana, una base materiale, che assicura il sostentamento dell’esistenza, e la base fornita dalla fede, in rapporto con la speranza.
Queste spiegazioni mostrano un’attenzione estremamente accurata a tutti gli aspetti del tema della speranza.
Nelle pagine successive, dal titolo: "La vita eterna – che cos’è?" (nn. 10-12), il Santo Padre esprime con vivo realismo la mentalità attuale di molte persone. La vita eterna è l’oggetto della speranza. Ma a molte persone, oggi, "la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente. […] La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine — questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine, insopportabile". Partendo allora da una lettera di S. Agostino "indirizzata a Proba, una vedova romana benestante", il Santo Padre precisa che cosa si deve intendere con "vita eterna", cioè non una successione interminabile di momenti, ma una pienezza alla quale aspiriamo. "Possiamo soltanto", scrive il Papa, "presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo — il prima e il dopo — non esiste più. […] Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo" (n. 12). Queste sono parole illuminanti e che colmano il cuore di gioia.
Dopo di che, l’Enciclica pone un’altra domanda, sulla quale tornerà più volte. Essa domanda, cioè, se "la speranza cristiana è individualistica" (n. 13). Una risposta positiva viene data da più parti e accompagnata "nel tempo moderno" da "una critica sempre più dura: si tratterebbe di puro individualismo, che avrebbe abbandonato il mondo alla sua miseria e si sarebbe rifugiato in una salvezza eterna soltanto privata." Vengono citati in proposito i rimproveri rivolti ai cristiani dallo scrittore francese Jean Giono e respinti dal Cardinale de Lubac "sulla base della teologia dei Padri in tutta la sua vastità" (n. 14). Lungi dall’essere individualistica, l’autentica speranza cristiana aspira a "una salvezza comunitaria"; essa "presuppone l’esodo dalla prigionia del proprio ‘io’" per accogliere l’amore in tutte le sue dimensioni; ha quindi "a che fare anche con la edificazione del mondo". La dottrina e l’esempio di S. Bernardo di Chiaravalle vengono citati in proposito.
A questo punto, l’Enciclica osserva che il concetto di speranza cristiana ha subito negli ultimi secoli una evoluzione negativa, che ha le sue antiche radici nell’opera di Francesco Bacon alla fine del 500, dal titolo Novum Organum, la quale promosse la scienza sperimentale e ne fece sperare la restaurazione del paradiso perduto. Ormai per l’edificazione del mondo, ciò che doveva contare era "la fede nel progresso", assicurato "dal collegamento tra scienza e prassi". Ne risultò che la fede cristiana diventò "in qualche modo irrilevante per il mondo" e che la speranza cristiana venne ridotta a una prospettiva individualistica.
"Al contempo, dice l’Enciclica, due categorie entrano sempre più al centro dell'idea di progresso: ragione e libertà" (n. 18). Qui l’Enciclica presenta aspetti importanti della storia del pensiero moderno e delle "tappe essenziali della concretizzazione politica" della speranza che vi corrisponde. Non spetta a me riferirne. L’Enciclica mette a confronto "la vera fisionomia della speranza cristiana" (nn. 24-29), la quale ha una relazione stretta, non solo con la fede, ma anche con l’amore che viene da Dio e unisce a Dio e ai fratelli.
La conclusione di questa parte è chiara (m. 31): "Noi abbiamo bisogno delle speranze — più piccole o più grandi — che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio […]. Dio è il fondamento della speranza, — non un qualsiasi dio, ma quel Dio che ha un volto umano e che ci ha amati sino alla fine […]. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare […] giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto."
La seconda grande parte dell'Enciclica descrive i "Luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza" (non. 32-48) e riguarda quindi, in modo più concreto, la vita cristiana. Vengono distinti tre luoghi: I. La preghiera come scuola della speranza; II. Agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza; III. Il Giudizio [con una g maiuscola] come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza. Le analisi offerte sono di una ricchezza e di una profondità stupende.
Sulla preghiera, l’Enciclica sfrutta una omelia di S. Agostino sulla Prima Lettera di Giovanni omelia quanto mai suggestiva, che illustra "l’intima relazione tra preghiera e speranza", definendo "la preghiera come esercizio del desiderio", esercizio necessario perché il nostro cuore "è troppo stretto per la grande realtà che gli è assegnata. Deve essere allargato" (n. 33). "Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell’angolo privato della propria felicità. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini." Per raggiungere questo scopo, la preghiera "deve essere sempre di nuovo guidata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il Signore ci insegna a pregare nel modo giusto" (n. 34). "Così diventiamo capaci della grande speranza" e anche "ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri".
Un altro luogo dove si esercita la speranza è l’azione, perché la speranza cristiana non è oziosa, ma spinge ad agire. "Ogni agire serio e retto dell'uomo è speranza in atto" (n. 35). La speranza cristiana sostiene l’impegno quotidiano e mi dà il coraggio di agire perfino quando, umanamente parlando, "non ho più niente da sperare", perché "è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio".
Anche la sofferenza è un luogo dove si esercita la speranza cristiana, anzi un luogo privilegiato, perché "non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore" (n. 37) e le cui sofferenze sono diventate, per questo motivo, sorgente inesauribile di grazie. Qui l’Enciclica cita la splendida testimonianza di un martire vietnamita, di cui ho parlato all’inizio, poi parla del condividere la sofferenza altrui e dell’"offrire" le proprie pene.
In terzo luogo, l’Enciclica presenta il Giudizio finale di Dio "come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza" in un senso evidentemente diverso dai luoghi precedenti, perché il Giudizio finale non è una realtà presente come sono le preghiere e le sofferenze. Il Giudizio finale suscita, però, la speranza, perché eliminerà il male. Qui l’Enciclica offre riflessioni profonde sul terribile problema del male e della giustizia.
Poi aggiunge spiegazioni preziose sull’inferno, sul purgatorio e sulla preghiera per i defunti.
L’Enciclica si conclude con una contemplazione di "Maria, stella della speranza", un bellissimo dialogo con Lei e una intensa preghiera.
Termino così questa mia presentazione, consapevole delle sue insufficienze, sperando solo di aver suscitato in voi il vivo desiderio di una conoscenza diretta del testo dell'Enciclica.


INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. GEORGES MARIE MARTIN COTTIER, O.P.

Presentazione dell’enciclica Spe salvi sotto l’aspetto filosofico

L’ampia meditazione sulla speranza come dimensione essenziale dell’esistenza cristiana, con la sua bellezza e la sua forza di liberazione, che offre l’enciclica Spe salvi, che ho la gioia di presentare, contiene anche un invito a riflettere in profondità sulla situazione spirituale del nostro tempo, interrogando alcuni grandi testimoni della modernità e della coscienza della sua crisi.
Dobbiamo rilevare che, trattando della speranza, l’enciclica parla altrettanto della fede. Infatti, la Lettera agli Ebrei, dalla quale la riflessione prende spunto, presenta «una sorta di definizione della fede che intreccia strettamente questa virtù con la speranza» (n. 7).
Su sarcofaghi dei primi secoli cristiani Cristo è rappresentato sotto la figura del vero filosofo. È Lui che ci guida sulla retta via dell’esistenza, verso la pienezza della vera vita, oltre la morte (cf. n. 6). L’evocazione di quest’immagine suggestiva ci fa capire perché la speranza cristiana è decisiva per la cultura e l’autentico umanesimo.
Infatti, la riflessione sulla speranza sfocia nella questione antropologica. S. Agostino, molto presente nell’enciclica, esploratore geniale dell’anima, ha messo in evidenza il paradosso del desiderio fondamentale che spinge l’uomo alla ricerca della vera vita, della felicità, della «vita eterna». Citando una parola di Paolo sulla preghiera (Rm 8, 26), Agostino usa l’espressione stupenda dotta ignoranza (docta ignorantia): ci sentiamo spinti verso questa vera vita, che pur non conosciamo. Tutto ciò che sperimentiamo o realizziamo non è ciò che bramiamo incessantemente. Tale è la situazione essenziale dell’uomo. Scrive il Santo Padre: «Questa ‘cosa’ ignota è la vera ‘speranza’ che ci spinge e il suo essere ignota è al contempo la causa di tutte le disperazioni, come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo. La parola "vita eterna" cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta.»
I numeri 11 e 12 contengono il criterio d’interpretazione delle critiche e delle deviazioni della speranza cristiana proprie dei tempi moderni.
Infatti, la speranza cristiana è stata oggetto di una critica sempre più dura: sarebbe puro individualismo; abbandonando il mondo alla sua miseria, il cristiano si sarebbe rifugiato in una salvezza eterna soltanto privata. Così Jean Giono, citato nel nostro documento: la gioia di Cristo appartiene soltanto ad una persona chiusa nella sua solitudine. «Questa solitudine non la turba. Al contrario: lei è, appunto l’eletta! Nella sua beatitudine attraversa le battaglie con una rosa in mano». L’enciclica non ha difficoltà a rispondere a questa presentazione molto vicina alla caricatura. La vita beata è vita con Dio ed appartenenza al popolo del quale la legge è la carità. Non un io chiuso in se stesso, ma un «noi». Presuppone l’esodo dal proprio «io» «perché solo nell’apertura di questo soggetto universale si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull’amore stesso – Dio».
La visione cristiana della vita beata orientata verso la comunità mira ad una realtà che sta al di là del mondo presente, ma proprio per questo ha a che fare con l’edificazione del mondo. Grandi figure come Agostino o Bernardo di Chiaravalle ne sono testimoni. I monasteri fondati da quest’ultimo sono tutt’altro che luoghi di «fuga dal mondo» (cf. nn. 13-15).
Rimane una domanda che non si può eludere: come può essere nata l’idea che, con il cristianesimo, la ricerca della salvezza fosse una ricerca egoistica che si rifiuta al servizio degli altri?
Per dare una risposta è necessario considerare i «componenti fondamentali del tempo moderno». All’esame critico del tema sono consacrati i numeri da 16 a 31. La diagnosi poggia sulla testimonianza di grandi rappresentanti della modernità.
Il primo di questi testimoni è Francis Bacon che, sulla base delle conquiste scientifiche e tecniche, esprime la coscienza di una svolta epocale caratterizzata da una nuova correlazione tra scienza e prassi, l’arte dell’uomo essendo d’ora in poi capace di dominare la natura. Questa novità viene applicata anche teologicamente: il dominio sulla creazione, dato all’uomo da Dio e perduto nel peccato originale, verrebbe ristabilito.
In altre parole, il recupero dei beni persi non è più atteso dalla fede in Gesù Cristo. Ora la «redenzione», o la restaurazione del paradiso perduto, sarà procurata dal nuovo rapporto tra scienza e prassi: più che semplicemente negata, la fede viene spostata ad un altro livello, quello delle cose private e ultraterrene che sono considerate come irrilevanti per il mondo. La nuova problematica ha un’incidenza determinante per la crisi moderna della fede e della speranza cristiane. Emerge così una nuova forma di speranza che si chiama fede nel progresso orientata verso un mondo nuovo, il mondo del regno dell’uomo.
Riassumendo sono conscio di operare delle semplificazioni che non permettono di rendere conto dell’analisi molto accurata, fine e ricca, che solo la lettura attenta del testo permette di misurare.
La fede nel progresso come tale diventa dunque sempre più fortemente la convinzione dominante della modernità.
Due categorie entrano sempre più al centro dell’idea del progresso: la ragione e la libertà.
Il progresso è nel crescente dominio della ragione, la quale è considerata come un potere del bene e per il bene. Il progresso è anche nel superamento di tutte le dipendenze, vale a dire che va verso la libertà perfetta. In questa prospettiva, la libertà si presenta come promessa di pienezza della realizzazione dell’uomo.
L’enciclica rileva che l’affermazione del regno della ragione e della libertà comporta una dimensione politica, che si preciserà progressivamente.
Il Santo Padre annota come in ambedue i concetti di ragione e libertà il pensiero va sempre tacitamente a contrastarsi con i vincoli della fede e della Chiesa, come con i vincoli degli ordinamenti statali di allora. «Ambedue i concetti portano quindi in sé un potenziale rivoluzionario di un’enorme forza esplosiva» (n. 18).
Siamo così invitati a dare uno sguardo a questi avvenimenti maggiori che furono la Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione russa del 1917.
In un primo tempo, l’Europa dell’Illuminismo vede nella Rivoluzione francese la possibile instaurazione del regno politico della ragione e della libertà. Con il succedersi degli avvenimenti nascono le perplessità.
Significative a questo proposito sono le variazioni di giudizio di Kant che dopo pochi anni prende in considerazione la possibilità di una fine perversa di tutte le cose.
La fede nel progresso come nuova forma della speranza umana è alla base del progetto di Marx di una rivoluzione del proletariato industriale vittima degli sviluppi della società capitalista. Questa rivoluzione doveva costituire il passo definitivo verso la salvezza dell’uomo. Il progresso verso il bene sarebbe opera, non della scienza come tale, ma della «politica pensata scientificamente». La promessa di Marx, rileva l’enciclica, «grazie all’accuratezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato e affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata in modo più radicale in Russia» (cf. n. 20) .
Il n. 21 contiene una riflessione sull’‘errore fondamentale di Marx’. Non solo, avendo indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento, Marx non ha detto come le cose dovevano procedere dopo, «ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Pensava che una volta sistemata l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo (…)».
Quello che precede concerne la diagnosi sulla crisi della speranza cristiana nella cultura moderna e della sua sostituzione con la fede nel progresso. Nel corso della storia, sono apparse sempre più evidenti le aporie di quest’ultima. Ritorna di nuovo con insistenza la domanda: che cosa possiamo sperare?
In questa prospettiva, i nn. 22-23, hanno un’importanza decisiva. Ci dicono il motivo essenziale dell’enciclica dal punto di vista sia pastorale che culturale.
Queste pagine contengono un invito che delinea un compito al quale, in coscienza, i cristiani non debbono sottrarsi. Si deve citare: «È necessario un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire delle proprie radici».
Sorge una prima domanda: che cosa è il progresso, che cosa permette, che cosa non permette?
Theodor W. Adorno ha potuto affermare: visto da vicino, il progresso sarebbe stato quello dalla fionda alla megabomba. Quest’aspetto del progresso non deve essere mascherato. Il progresso è ambiguo, offre delle possibilità per il bene, «ma apre anche possibilità abissali di male», che prima non esistevano. «Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore (cf. Ef 3, 16; 2 Co 4, 16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo».
Ma la nostra riflessione deve proseguire fino all’interrogazione sugli fondamenti stessi, cioè la ragione e la libertà.
Certo la vittoria della ragione sull’irrazionale è anche uno scopo della fede cristiana. Grande dono di Dio all’uomo, la ragione non può dominare se è staccata da Dio o diventata cieca per Dio. Inoltre, la ragione nella sua ampiezza è più che la ragione del potere e del fare. Abbiamo visto che il progresso dovuto a quest’ultima richiede una regolazione etica. La ragione del potere e del fare deve dunque essere integrata «mediante apertura alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male». Solo se guarda oltre se stessa, la ragione è capace d’indicare la strada alla volontà.
Il secondo tema essenziale è il tema della libertà. La riflessione inizia con una constatazione: la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà; questo concorso esige «un comune intrinseco criterio di misura, che sia fondamento e meta della nostra libertà» . Detto in modo semplice, «l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza».
Abbiamo visto e vediamo di nuovo che il regno dell’uomo solo si risolve nella «fine perversa» di tutte le cose della quale ha parlato Kant.
Alludendo al deismo, Benedetto XVI aggiunge che Dio entra veramente nelle cose umane se non è soltanto pensato da noi, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla.
La conclusione riprende un tema maggiore del Pontificato: «Per questo la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione».
Queste affermazioni sono una sfida per l’intelligenza cristiana. Il suo compito esclude ogni forma di fideismo.
Il tempo a mia disposizione non mi consente di dilungarmi. Mi limito ad indicare che la precedente analisi critica trova il suo complemento nella sezione consacrata alla vera fisionomia della speranza cristiana (nn. 24-31). Troviamo qui anche dei pensieri di grande rilevanza, che debbono essere meditati. Illustrano insieme l’essenza della libertà umana e le minacce che pesano su di essa. Vorrei attirare la vostra attenzione su alcuni temi.
La crescita cumulativa che vale per la conoscenza e il dominio della materia non vale per la consapevolezza etica e per la decisione morale: «La libertà dell’uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni».
La libertà necessita di una convinzione, da riconquistare incessantemente. Le migliori strutture funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni. In realtà «l’uomo non può mai essere redento semplicemente dall’esterno».
«Poiché l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esiste in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato… La libertà deve sempre essere di nuovo conquistata per il bene».
Perciò, il retto ordinamento per le cose umane è compito di ogni generazione (cf. nn. 24-25).
Così la nostra meditazione è ricondotta alla considerazione del mistero cristiano ed alla sua bellezza.
«Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore». L’esperienza di un grande amore ci permette d’intravederlo. In realtà, «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato» che supera le fragilità e che la morte non può distruggere.
«Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è ‘redento’, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che s’intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha ‘redenti’. Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio (…)».
E ancora: «Se siamo in relazione con Colui che non muore [Gesù Cristo], che è la Vita stessa e lo stesso Amore , allora siamo nella vita. Allora ‘viviamo’» (cf. nn. 26-27).
Domani sera inizia il tempo liturgico dell’Avvento, tempo della speranza. Spe salvi sarà un prezioso compagno per vivere in pienezza la speranza.

giovedì 29 novembre 2007

LA RISPOSTA DEL PAPA ALLA LETTERA DELLE 138 GUIDE RELIGIOSE MUSULMANE


IL PAPA E L'ISLAM: LO SPECIALE DEL BLOG

Apprezzamento per lo spirito che anima il testo e disponibilità a ricevere una delegazione dei firmatari

Benedetto XVI risponde alla lettera aperta di centotrentotto guide religiose musulmane

Il 13 ottobre scorso, in occasione della fine del Ramadan (Eid al-Fitr), un gruppo di centotrentotto Guide Religiose Musulmane ha indirizzato una lettera aperta al Santo Padre Benedetto XVI e ai responsabili delle altre Chiese e confessioni cristiane, dal titolo Una Parola Comune tra Noi e Voi.
Il Santo Padre ha risposto con una lettera, a firma dell'Em.mo Segretario di Stato, indirizzata a S.A.R. il Principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, Presidente dell'Aal al-Bayt Institute for Islamic Thought, il quale aveva personalmente curato l'inoltro della lettera aperta.
Nel ringraziare e mostrare apprezzamento per la significativa iniziativa dell'eminente gruppo di personalità musulmane, il Santo Padre riafferma l'importanza del dialogo basato sul rispetto effettivo della dignità della persona, sulla oggettiva conoscenza della religione dell'altro, sulla condivisione dell'esperienza religiosa e sull'impegno comune a promuovere mutuo rispetto e accettazione.
La risposta dell'Em.mo Segretario di Stato accenna anche alla disponibilità del Santo Padre a ricevere il Principe Ghazi e una delegazione dei firmatari della lettera e manifesta altresì la disponibilità del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in collaborazione con alcuni Istituti Pontifici specializzati, per un incontro di lavoro.
Pubblichiamo di seguito il testo:

Your Royal Highness,
On 13 October 2007 an open letter addressed to His Holiness Pope Benedict XVI and to other Christian leaders was signed by one hundred and thirty-eight Muslim religious leaders, including Your Royal Highness. You, in turn, were kind enough to present it to Bishop Salim Sayegh, Vicar of the Latin Patriarch of Jerusalem in Jordan, with the request that it be forwarded to His Holiness.
The Pope has asked me to convey his gratitude to Your Royal Highness and to all who signed the letter. He also wishes to express his deep appreciation for this gesture, for the positive spirit which inspired the text and for the call for a common commitment to promoting peace in the world.
Without ignoring or downplaying our differences as Christians and Muslims, we can and therefore should look to what unites us, namely, belief in the one God, the provident Creator and universal Judge who at the end of time will deal with each person according to his or her actions. We are all called to commit ourselves totally to him and to obey his sacred will.
Mindful of the content of his Encyclical Letter Deus Caritas Est ("God is Love"), His Holiness was particularly impressed by the attention given in the letter to the twofold commandment to love God and one's neighbour.
As you may know, at the beginning of his Pontificate, Pope Benedict XVI stated: "I am profoundly convinced that we must not yield to the negative pressures in our midst, but must affirm the values of mutual respect, solidarity and peace. The life of every human being is sacred, both for Christians and for Muslims. There is plenty of scope for us to act together in the service of fundamental moral values" (Address to Representatives of Some Muslim Communities, Cologne, 20 August 2005). Such common ground allows us to base dialogue on effective respect for the dignity of every human person, on objective knowledge of the religion of the other, on the sharing of religious experience and, finally, on common commitment to promoting mutual respect and acceptance among the younger generation. The Pope is confident that, once this is achieved, it will be possible to cooperate in a productive way in the areas of culture and society, and for the promotion of justice and peace in society and throughout the world.
With a view to encouraging your praiseworthy initiative, I am pleased to communicate that His Holiness would be most willing to receive Your Royal Highness and a restricted group of signatories of the open letter, chosen by you. At the same time, a working meeting could be organized between your delegation and the Pontifical Council for Interreligious Dialogue, with the cooperation of some specialized Pontifical Institutes (such as the Pontifical Institute for Arabic and Islamic Studies and the Pontifical Gregorian University). The precise details of these meetings could be decided later, should this proposal prove acceptable to you in principle.
I avail myself of the occasion to renew to Your Royal Highness the assurance of my highest consideration.
From the Vatican, November 19, 2007

Cardinal TARCISIO BERTONE
Secretary of State


Pubblichiamo una nostra traduzione italiana della lettera:

Altezza Reale,
il 13 ottobre 2007 una lettera aperta rivolta a Sua Santità Papa Benedetto XVI e ad altri responsabili cristiani è stata firmata da centotrentotto capi religiosi musulmani, tra i quali Lei, Altezza. Lei, a sua volta, è stato così cortese da presentarla al Vescovo Salim Sayegh, Vicario del Patriarca latino di Gerusalemme in Giordania, con la richiesta che venisse inoltrata a Sua Santità.
Il Papa mi ha chiesto di trasmettere la sua gratitudine a Lei Altezza e a tutti coloro che hanno firmato la lettera. Desidera inoltre esprimere profondo apprezzamento per questo gesto, per lo spirito positivo che ha ispirato il testo e per l'esortazione a un impegno comune per la promozione della pace nel mondo.
Senza ignorare o minimizzare le nostre differenze di cristiani e musulmani, possiamo e quindi dobbiamo prestare attenzione a ciò che ci unisce, ed esattamente la fede nell'unico Dio, il creatore provvidente e il giudice universale che alla fine dei tempi considererà ogni persona secondo le sue azioni. Siamo tutti chiamati ad impegnarci totalmente con lui e ad obbedire alla sua sacra volontà.
Memore del contenuto dell'Enciclica Deus Caritas Est ("Dio è amore") Sua Santità è rimasto particolarmente colpito dall'attenzione prestata nella lettera al duplice comandamento dell'amore verso Dio e verso gli uomini.
Come sa, all'inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI ha affermato: "Sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell'ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani sia per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali" (discorso ai rappresentanti di alcune comunità musulmane a Colonia, 20 agosto 2005). Questo terreno comune ci permette di fondare il dialogo su un effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenza obiettiva della religione dell'altro, sulla condivisione dell'esperienza religiosa e, infine, sull'impegno comune alla promozione del rispetto e dell'accettazione reciproci tra i giovani.
Il Papa confida nel fatto che, una volta raggiunto questo obiettivo, sarà possibile cooperare in modo produttivo in seno alla cultura e alla società e per la promozione della giustizia e della pace nella società e in tutto il mondo.
Incoraggiando la sua lodevole iniziativa, sono lieto di comunicare che Sua Santità desidera ardentemente ricevere Lei, Altezza, e un ristretto gruppo che Lei vorrà scegliere tra i firmatari della Lettera aperta. Al contempo, un incontro di lavoro potrebbe essere organizzato dalla vostra delegazione insieme con il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, con la cooperazione di alcuni Pontifici Istituti specializzati, come il Pontificio Istituto di Studi Arabi Islamici e la Pontificia Università Gregoriana. I dettagli di questi incontri potranno essere decisi in seguito se questa proposta si dimostrerà per Lei accettabile in linea di massima.
Colgo l'occasione per rinnovarLe, Altezza, l'assicurazione della mia più elevata considerazione.

Dal Vaticano, 19 novembre 2007

Cardinale TARCISIO BERTONE
Segretario di Stato

(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 2007)

mercoledì 28 novembre 2007

Oggi si pensa che il Cristianesimo sia nato in Europa, ma la realtà è più complessa: la sua radice è a Gerusalemme!


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

Vedi anche:

Gli umili sono semplici, pazienti, amati, integri, retti, esperti nel bene, prudenti, sereni, sapienti, quieti, pacifici, misericordiosi... (Afraate, il "Saggio")

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 novembre 2007


Sant’Efrem, il Siro

Cari fratelli e sorelle,

secondo l'opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell'Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell'Antico Testamento.
Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all'India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità.

Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant'Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana.
Egli fu il più importante rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste.
Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita ed ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza — questa speranza che permette di vivere povero e casto in questo mondo ponendo ogni aspettativa nel Signore — e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.
Sant'Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica: la sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem.

Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.

Non posso adesso presentare molto di lui, anche perchè la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un'idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli inni Sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:

"Il Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare rumore alcuno.
Il pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange
.
Poiché il seno di Maria
ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e spogliato uscì da lei,
egli che riveste (di bellezza) tutte le cose
"

(Inno "De Nativitate"11, 6-8).

Per esprimere il mistero di Cristo Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):

"Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi
"

(Inno 49,9-11).

Per parlare dell’Eucaristia Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente, e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:

"Nel tuo pane si nasconde lo Spirito
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati
"

(Inno "De Fide"10,8-10).

E ancora un ultimo esempio degli inni di sant'Efrem, dove parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:

"Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile
"

(Inno "Sulla Perla" 1, 2-3).

La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.

E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo.

Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è Redenzione senza Gesù, così non c’è Incarnazione senza Maria.

Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.
Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di "cetra dello Spirito Santo", restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.


Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i religiosi Fatebenefratelli, le Suore della Carità Domenicane della Presentazione, i partecipanti alla Scuola di formazione promossa dal Movimento dei Focolari, i rappresentanti del Centro Italiano di Solidarietà di Viterbo e i fedeli provenienti da Cervia. Cari amici, auguro che la sosta presso i luoghi sacri vi rinsaldi nell’adesione a Cristo e alimenti la carità nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità.

Saluto gli incaricati della diffusione nel mondo de L’Osservatore Romano, accompagnati dal Direttore responsabile prof. Giovanni Maria Vian e dal Direttore generale Don Elio Torrigiani. Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno nel promuovere gli insegnamenti del Papa in tutto il mondo e vi accompagno con un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore vi ricolmi di copiosi doni spirituali.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La figura dell’apostolo Andrea, la cui festa si celebrerà nei prossimi giorni, sia per voi, cari giovani, un modello di fedele e coraggiosa testimonianza cristiana. Sant’Andrea interceda per voi, cari ammalati, affinché la consolazione divina promessa da Gesù agli afflitti riempia i vostri cuori e vi fortifichi nella fede. E voi, cari sposi novelli, impegnatevi a corrispondere sempre al progetto di amore del quale Cristo vi ha resi partecipi con il sacramento del matrimonio.


APPELLO DEL SANTO PADRE

Il 1° dicembre prossimo ricorrerà la Giornata Mondiale contro l’AIDS. Sono spiritualmente vicino a quanti soffrono per questa terribile malattia come pure alle loro famiglie, in particolare a quelle colpite dalla perdita di un congiunto. Per tutti assicuro la mia preghiera.
Desidero, inoltre, esortare tutte le persone di buona volontà a moltiplicare gli sforzi per fermare la diffusione del virus HIV, a contrastare lo spregio che sovente colpisce quanti ne sono affetti, e a prendersi cura dei malati, specialmente quando sono ancora fanciulli.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

Per i giovani migranti è sentita la "difficoltà della duplice appartenenza": mantenere la cultura di origine e desiderio di inserirsi nella società


Vedi anche:

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 94a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2008 , 28.11.2007


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2008

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

il tema della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato invita quest'anno a riflettere in particolare sui giovani migranti. In effetti, le cronache quotidiane parlano spesso di loro.
Il vasto processo di globalizzazione in atto nel mondo porta con sé un'esigenza di mobilità, che spinge anche numerosi giovani ad emigrare e a vivere lontano dalle loro famiglie e dai loro Paesi. La conseguenza è che dai Paesi d'origine se ne va spesso la gioventù dotata delle migliori risorse intellettuali, mentre nei Paesi che ricevono i migranti vigono normative che rendono difficile il loro effettivo inserimento. Di fatto, il fenomeno dell'emigrazione diviene sempre più esteso ed abbraccia un crescente numero di persone di ogni condizione sociale. Giustamente pertanto le pubbliche istituzioni, le organizzazioni umanitarie ed anche la Chiesa cattolica dedicano molte delle loro risorse per venire incontro a queste persone in difficoltà.

Per i giovani migranti risulta particolarmente sentita la problematica costituita dalla cosiddetta "difficoltà della duplice appartenenza": da un lato, essi sentono vivamente il bisogno di non perdere la cultura d'origine, mentre, dall'altro, emerge in loro il comprensibile desiderio di inserirsi organicamente nella società che li accoglie, senza che tuttavia questo comporti una completa assimilazione e la conseguente perdita delle tradizioni avite.

Tra i giovani ci sono poi le ragazze, più facilmente vittime di sfruttamento, di ricatti morali e persino di abusi di ogni genere. Che dire poi degli adolescenti, dei minori non accompagnati, che costituiscono una categoria a rischio tra coloro che chiedono asilo? Questi ragazzi e ragazze finiscono spesso in strada abbandonati a se stessi e preda di sfruttatori senza scrupoli che, più di qualche volta, li trasformano in oggetto di violenza fisica, morale e sessuale.

Guardando poi più d'appresso al settore dei migranti forzati, dei rifugiati, dei profughi e delle vittime del traffico di esseri umani, ci si incontra purtroppo anche con molti bambini e adolescenti. A questo proposito, è impossibile tacere di fronte alle immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati, presenti in diverse parti del mondo. Come non pensare che quei piccoli esseri sono venuti al mondo con le stesse legittime attese di felicità degli altri? E, al tempo stesso, come non ricordare che la fanciullezza e l'adolescenza sono fasi di fondamentale importanza per lo sviluppo dell'uomo e della donna, e richiedono stabilità, serenità e sicurezza? Questi bambini e adolescenti hanno avuto come unica esperienza di vita i «campi" di permanenza obbligatori, dove si trovano segregati, lontani dai centri abitati e senza possibilità di frequentare normalmente la scuola. Come possono guardare con fiducia al loro futuro? Se è vero che molto si sta facendo per loro, occorre tuttavia impegnarsi ancor più nell'aiutarli mediante la creazione di idonee strutture di accoglienza e di formazione.

Proprio in questa prospettiva si pone la domanda: come rispondere alle attese dei giovani migranti? Che fare per venire loro incontro? Occorre certo puntare in primo luogo sul supporto della famiglia e della scuola. Ma quanto complesse sono le situazioni e quanto numerose sono le difficoltà che incontrano questi giovani nei loro contesti familiari e scolastici! All'interno delle famiglie sono venuti meno i tradizionali ruoli che esistevano nei Paesi di origine e si assiste spesso ad uno scontro tra genitori rimasti ancorati alla loro cultura e figli velocemente acculturati nei nuovi contesti sociali. Né va sottovalutata la fatica che i giovani incontrano per inserirsi nei percorsi educativi vigenti nei Paesi in cui vengono accolti. Lo stesso sistema scolastico pertanto dovrebbe tener conto di queste loro condizioni e prevedere per i ragazzi immigrati specifici itinerari formativi d'integrazione adatti alle loro esigenze. Importante sarà anche l'impegno di creare nelle aule un clima di reciproco rispetto e dialogo tra tutti gli allievi, sulla base di quei principi e valori universali che sono comuni a tutte le culture. L'impegno di tutti docenti, famiglie e studenti - contribuirà certamente ad aiutare i giovani migranti ad affrontare nel modo migliore la sfida dell'integrazione ed offrirà loro la possibilità di acquisire quanto può giovare alla loro formazione umana, culturale e professionale. Questo vale ancor più per i giovani rifugiati per i quali si dovranno approntare adeguati programmi, nell'ambito scolastico e altresì in quello lavorativo, in modo da garantire la loro preparazione fornendo le basi necessarie per un corretto inserimento nel nuovo mondo sociale, culturale e professionale.

La Chiesa guarda con singolare attenzione al mondo dei migranti e chiede a coloro che hanno ricevuto nei Paesi di origine una formazione cristiana di far fruttificare questo patrimonio di fede e di valori evangelici in modo da offrire una coerente testimonianza nei diversi contesti esistenziali. Proprio in ordine a ciò invito le comunità ecclesiali di arrivo ad accogliere con simpatia giovani e giovanissimi con i loro genitori, cercando di comprenderne le vicissitudini e di favorirne l'inserimento.

Vi è poi tra i migranti, come ebbi a scrivere nel Messaggio dello scorso anno, una categoria da considerare in modo speciale, ed è quella degli studenti di altri Paesi che per ragioni di studio si trovano lontani da casa. Il loro numero è in continua crescita: sono giovani bisognosi di una pastorale specifica, perché non solo sono studenti, come tutti, ma anche migranti temporanei. Essi si sentono spesso soli, sotto la pressione dello studio e talvolta stretti anche da difficoltà economiche. La Chiesa, nella sua materna sollecitudine, guarda a loro con affetto e cerca di porre in atto specifici interventi pastorali e sociali, che tengano in conto le grandi risorse della loro giovinezza. Occorre far sì che abbiano modo di aprirsi al dinamismo dell'interculturalità, arricchendosi nel contatto con altri studenti di culture e religioni diverse. Per i giovani cristiani quest'esperienza di studio e di formazione può essere un utile campo di maturazione della loro fede, stimolata ad aprirsi a quell'universalismo che è elemento costitutivo della Chiesa cattolica.

Cari giovani migranti, preparatevi a costruire accanto ai vostri giovani coetanei una società più giusta e fraterna, adempiendo con scrupolo e serietà i vostri doveri nei confronti delle vostre famiglie e dello Stato. Siate rispettosi delle leggi e non lasciatevi mai trasportare dall'odio e dalla violenza. Cercate piuttosto di essere protagonisti sin da ora di un mondo dove regni la comprensione e la solidarietà, la giustizia e la pace. A voi, in particolare, giovani credenti, chiedo di profittare del tempo dei vostri studi per crescere nella conoscenza e nell'amore di Cristo. Gesù vi vuole suoi amici veri e per questo è necessario che coltiviate costantemente un'intima relazione con Lui nella preghiera e nell'ascolto docile della sua Parola. Egli vi vuole suoi testimoni e per questo è necessario che vi impegniate a vivere con coraggio il Vangelo traducendolo in gesti concreti di amore a Dio e di servizio generoso ai fratelli. La Chiesa ha bisogno anche di voi e conta sul vostro apporto. Voi potete svolgere un ruolo quanto mai provvidenziale nell'attuale contesto dell'evangelizzazione. Provenendo da culture diverse, ma accomunati tutti dall'appartenenza all'unica Chiesa di Cristo, potete mostrare che il Vangelo è vivo e adatto per ogni situazione; è messaggio antico e sempre nuovo; Parola di speranza e di salvezza per gli uomini di ogni razza e cultura, di ogni età e di ogni epoca.

A Maria, Madre dell'intera umanità, e a Giuseppe, suo castissimo sposo, profughi entrambi con Gesù in Egitto, affido ciascuno di voi, le vostre famiglie, quanti si occupano in vario modo del vasto mondo di voi giovani migranti, i volontari e gli operatori pastorali che vi affiancano con la loro disponibilità e il loro sostegno amichevole.

Il Signore sia sempre accanto a voi e alle vostre famiglie, perché insieme possiate superare gli ostacoli e le difficoltà materiali e spirituali che incontrate nel vostro cammino. Accompagno questi miei voti con una speciale Benedizione Apostolica per ciascuno di voi e per le persone che vi sono care.

Dal Vaticano, 18 Ottobre 2007

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 26 novembre 2007

Il Papa ai cardinali: conto molto sul vostro prezioso sostegno, perché possa svolgere al meglio il mio ministero. Ho bisogno di questo sostegno!


Vedi anche:

CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG


UDIENZA AGLI EM.MI CARDINALI CREATI NEL CONCISTORO DI SABATO 24 NOVEMBRE, CON I FAMILIARI E I FEDELI CONVENUTI , 26.11.2007

Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre riceve in Udienza gli Em.mi Cardinali creati nel Concistoro di sabato 24 novembre, insieme ai Familiari e ai Fedeli convenuti, e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari amici!


Questo nostro incontro prolunga il clima di preghiera e di comunione, che abbiamo vissuto in questi giorni di festa per la creazione di 23 nuovi Cardinali. Il Concistoro e la Celebrazione eucaristica di ieri, solennità di Cristo Re, ci hanno offerto un’occasione singolare per sperimentare la cattolicità della Chiesa, ben rappresentata dalla variegata provenienza dei membri del Collegio Cardinalizio, raccolti in stretta comunione attorno al Successore di Pietro. Sono pertanto lieto di rivolgere ancora una volta il mio cordiale saluto a questi neo-Porporati e, insieme a loro, saluto tutti voi, familiari ed amici, venuti per far ad essi corona in un momento così importante della loro esistenza.

Saluto in primo luogo voi, cari Cardinali italiani. Saluto Lei, Signor Cardinale Giovanni Lajolo, Presidente della Pontificia Commissione e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; saluto Lei, Signor Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Vaticana, mio Vicario Generale per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San Pietro; saluto Lei, Signor Cardinale Raffaele Farina, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa; saluto Lei, Signor Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana; saluto Lei, Signor Cardinale Giovanni Coppa, già Nunzio Apostolico nella Repubblica Ceca; saluto Lei, Signor Cardinale Umberto Betti, già Rettore della Pontificia Università Lateranense. Venerati e cari Fratelli, tante persone amiche, a voi legate a vario titolo, vi sono accanto in questa circostanza ad un tempo solenne e familiare. Esorto ciascuno di loro a non farvi mai mancare l’amicizia, la stima e la preghiera, aiutandovi così a continuare a servire fedelmente la Chiesa e a rendere nei vari compiti e ministeri, che la Provvidenza vi affida, una testimonianza sempre più generosa di amore a Cristo.

Je suis heureux de saluer les nouveaux membres du Collège des Cardinaux. L’Archevêque de Paris, Cardinal André Vingt-Trois; l’Archevêque de Dakar, Cardinal Théodore-Adrien Sarr, ainsi que leurs proches et leurs diocésains qui ont souhaité les accompagner en cette heureuse circonstance. Que les cérémonies que nous avons eu l’occasion de vivre au cours des deux journées précédentes affermissent votre foi et votre amour du Christ et de l’Église. Je vous invite aussi à soutenir vos Pasteurs et à les accompagner de votre prière, pour qu’ils guident toujours avec soin le peuple qui leur est confié. N’oublions pas non plus de demander au Christ que des jeunes acceptent de s’engager dans la voie du sacerdoce.

I extend a cordial greeting to the English-speaking Prelates whom I had the joy of raising to the dignity of Cardinal in last Saturday’s Consistory. Cardinal John Patrick Foley, Grand Master of the Knights of the Equestrian Order of the Holy Sepulchre of Jerusalem; Cardinal Sean Baptist Brady, Archbishop of Armagh (Ireland); Cardinal Oswald Gracias, Archbishop of Bombay (India); Cardinal Daniel Dinardo, Archbishop of Galveston-Houston (USA); Cardinal John Njue, Archbishop of Nairobi (Kenya); Cardinal Emmanuel III Delly, Patriarch of Babylon of the Chaldeans. I am also pleased to have this opportunity to welcome their family members and friends, and all the faithful who have accompanied them to Rome. The College of Cardinals, whose origin is linked to the ancient clergy of the Roman Church, is charged with electing the Successor of Peter and advising him in matters of greater importance. Whether in the offices of the Roman Curia or in their ministry in the local Churches throughout the world, the Cardinals are called to share in a special way in the Pope’s solicitude for the universal Church. The vivid colour of their robes has traditionally been seen as a sign of their commitment to defending Christ’s flock even to the shedding of their blood. As the new Cardinals accept the burden of this office, I am confident that they will be supported by your constant prayers and your cooperation in their efforts to build up the Body of Christ in unity, holiness and peace.

Ein ganz herzlicher Gruß gilt Kardinal Paul Josef Cordes, seiner Familie, seinen Freunden und Gästen aus Deutschland sowie den Gläubigen aus seinem Heimaterzbistum Paderborn, in dem er früher als Weihbischof gewirkt hat. Zusammen mit euch danke ich unserem neuen Kardinal für seinen wertvollen Dienst, den er seit vielen Jahren als Präsident des Päpstlichen Rates „Cor Unum" für den Nachfolger Petri erbringt. Begleitet ihn auch weiterhin mit eurem Gebet und unterstützt ihn in seiner wichtigen Aufgabe, für den Liebesdienst des Papstes gegenüber den Armen und Notleidenden konkret Sorge zu tragen. Der Herr schenke euch allen seine reiche Gnade.

Saludo cordialmente a los nuevos Cardenales de lengua española, acompañados de sus familiares y de tantos Obispos, sacerdotes, religiosos y laicos venidos de Argentina, España y México. Argentina exulta de gozo por el Cardenal Leonardo Sandri que, después de su servicio a la Santa Sede como Sustituto de la Secretaría de Estado, preside ahora la Congregación para las Iglesias Orientales, y también por el Cardenal Estanislao Esteban Karlic, Arzobispo emérito de Paraná, que durante tantos años ha servido solícita y abnegadamente aquella comunidad eclesial. La Iglesia en España se alegra por el Cardenal Agustín García-Gasco Vicente, Arzobispo de Valencia, ciudad que visité el año pasado con motivo de la Jornada Mundial de la Familia; por el Cardenal Lluís Martínez Sistach, Arzobispo de Barcelona, que anteriormente ha desarrollado un fructuoso ministerio en Tortosa y Tarragona; y también por el Cardenal Urbano Navarrete, antiguo Rector de la Pontificia Universidad Gregoriana, que ha consagrado su vida al estudio y enseñanza del Derecho Canónico. La Iglesia que peregrina en México se congratula por el Cardenal Francisco Robles Ortega, Arzobispo de Monterrey, cuya constante entrega pastoral se manifestó también en Toluca. Dirigimos nuestro pensamiento a la Virgen María, de la que vuestros pueblos son tan devotos, y le rogamos que interceda ante su divino Hijo por estos Cardenales, para que haga muy fecundo su servicio a la Iglesia.

Saúdo o Cardeal Odilo Pedro Scherer, os senhores Bispos que quiseram acompanhá-lo juntamente com a sua família, amigos e hóspedes. A ocasião me é propícia para rememorar os dias da minha Viagem Pastoral deste ano em São Paulo, e para renovar meus agradecimentos pela acolhida que fui objeto na sua Arquidiocese. Faço votos por que esta nomeação à púrpura cardinalícia contribua para aprofundar o seu amor pela Igreja e fortalecer a fé de seus fiéis em Jesus Cristo, nosso Salvador e Senhor!

Pozdrawiam Kardynała Stanisława Ryłkę i jego gości. Jemu dziękuję za wszystko, co robi na rzecz udziału świeckich w życiu Kościoła i życzę wielu łask. Was wszystkich polecam Bożej miłości i serdecznie wam błogosławię.

[Saluto il Cardinale Stanisław Ryłko e i suoi ospiti. Lo ringrazio per tutto quello che fa a favore della partecipazione dei laici alla vita della Chiesa e gli auguro abbondanti grazie. Raccomando tutti voi all’amore di Dio e vi benedico di cuore.]

Rinnovo, infine, a voi, venerati e cari neo-Cardinali, il mio fraterno saluto e, mentre vi assicuro la mia preghiera, vi chiedo di accompagnarmi sempre con la vostra apprezzata esperienza umana e pastorale.

Io conto molto sul vostro prezioso sostegno, perché possa svolgere al meglio il mio ministero al servizio dell’intero popolo di Dio. Ho bisogno di questo sostegno.

E a voi, cari fratelli e sorelle che vi stringete ad essi con affetto, ancora una volta grazie per la vostra partecipazione ai vari riti e momenti del Concistoro. Continuate a pregare per loro e anche per me, affinché sia sempre salda la comunione dei Pastori con il Papa sì da offrire al mondo intero la testimonianza di una Chiesa fedele a Cristo e pronta ad andare incontro con coraggio profetico alle attese ed esigenze spirituali degli uomini del nostro tempo. Tornando nelle vostre varie Diocesi recate, vi prego, a tutti il mio saluto e l’assicurazione del mio costante ricordo al Signore. Invoco su voi, cari nuovi Cardinali, e su voi tutti qui presenti, la protezione della celeste Madre di Dio e dei santi Apostoli Pietro e Paolo. Con tali sentimenti vi imparto di cuore la mia Benedizione.

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domenica 25 novembre 2007

Alla recita dell'Angelus l'appello del Papa per la pace in Medio Oriente


Vedi anche:

CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 25.11.2007

Al termine della Concelebrazione eucaristica con i nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri, alle ore 12.15 il Santo Padre Benedetto XVI raggiunge il sagrato della Basilica Vaticana per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Martedì prossimo, ad Annapolis, negli Stati Uniti, Israeliani e Palestinesi, con l’aiuto della Comunità Internazionale, intendono rilanciare il processo negoziale per trovare una soluzione giusta e definitiva al conflitto che da sessant’anni insanguina la Terra Santa e tante lacrime e sofferenze ha provocato nei due popoli. Vi chiedo di unirvi alla Giornata di preghiera indetta per oggi dalla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America per implorare dallo Spirito di Dio la pace per quella regione a noi tanto cara e i doni della saggezza e del coraggio per tutti i protagonisti dell’importante incontro.

Dopo la conclusione della solenne Celebrazione di quest’oggi, desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti i presenti, compresi proprio quanti sono rimasti all’esterno della Basilica. Speciale gratitudine esprimo ai fedeli venuti da lontano per accompagnare i nuovi Cardinali e partecipare a questo evento, che manifesta in maniera singolare l’unità e l’universalità della Chiesa cattolica. Alle distinte Autorità civili rinnovo il mio pensiero deferente.

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les personnes venues accompagner les nouveaux Cardinaux qui, en ce jour où nous célébrons le Christ Roi de l’univers, ont reçu une responsabilité plus grande au service de l’Église. Avec eux, demandons au Christ d’établir son règne sur le monde et de fortifier notre espérance.

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims who have come to attend the Consistory, especially those from Iraq, Ireland, India, Kenya and the United States of America. Let us give thanks to God for the gift of these new Cardinals and strive to follow closely in the footsteps of Christ our King, bearing constant witness to his saving truth! I wish you all a pleasant stay in Rome, and a blessed Sunday!

Von Herzen grüße ich die Pilger und Besucher aus Deutschland, die anläßlich des Konsistoriums nach Rom gekommen sind. Mit Freude haben wir Gott in dieser Eucharistiefeier für die neuen Kardinäle gedankt. Wir haben dabei auf Christus als den König auf dem Kreuzesthron geschaut. Am Kreuz offenbart Jesus Christus seine Liebe, welche die Macht hat, den Tod zu überwinden und neues Leben zu schenken. Der Herr stärke die neuen Kardinäle und uns alle, daß wir seine Botschaft der Liebe und des Heils zu den Menschen bringen und so an seinem Reich mitarbeiten. Gottes Segen begleite euch und eure Lieben.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española. De modo especial, a los Obispos, sacerdotes, religiosas, religiosos y fieles que habéis venido de Argentina, España y México, acompañando a los nuevos Cardenales. Pidamos al Espíritu Santo, por intercesión de la Virgen María, que los sostenga e ilumine con su gracia para que, llenos de amor a Dios y estrechamente unidos al Sucesor de Pedro, continúen entregando fielmente su vida al servicio de la Iglesia y de los hombres. ¡Feliz solemnidad de Cristo Rey!

Exprimo minha saudação mais sincera aos Bispos e fiéis vindos do Brasil com familiares e amigos. Unidos em torno ao Arcebispo de São Paulo, incluído ontem no Colégio Cardinalício, vocês representam uma parte significativa da catolicidade brasileira que, por tradição histórica e empenho missionário, constitui a esperança da Igreja do amanhã. Que Nossa Senhora Aparecida proteja o Brasil, para mim tão querido, e faça do novo Purpurado exemplo vivo de Pastor dedicado, disposto a servir a Igreja e ao Romano Pontífice com fidelidade e amor.

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków, a szczególnie przybyłych z okazji konsystorza i Mszy świętej sprawowanej ku czci Chrystusa Króla z udziałem nowo kreowanych kardynałów. Wśród nich jest również wasz rodak, bliski współpracownik Jana Pawła II. Misję nowych kardynałów polecam waszej gorliwej modlitwie. Wam wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi e in modo particolare quelli che sono venuti in occasione del Concistoro e per la Santa Messa nella ricorrenza della Solennità di Cristo Re dell’Universo alla presenza dei Cardinali di nuova creazione. Tra loro è presente anche il vostro connazionale, uno degli stretti collaboratori di Papa Giovanni Paolo II. Affido alla vostra fervida preghiera la missione dei nuovi Porporati. Vi benedico tutti di cuore.]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, convenuti numerosi, nonostante la pioggia, per manifestare il loro affetto e la loro devota vicinanza ai sei nuovi Cardinali italiani e a tutti i neo-Porporati.
Ci disponiamo ora a recitare, come di consueto, la preghiera dell’Angelus.
In occasioni come questa si sente ancor più viva la presenza spirituale di Maria Santissima. Come nel Cenacolo di Gerusalemme, Ella è oggi in mezzo a noi e ci accompagna in questa tappa del cammino ecclesiale. Alla Vergine vogliamo affidare i nuovi membri del Collegio Cardinalizio affinché a ciascuno di essi, come pure a tutti i Ministri della Chiesa, ottenga di imitare sempre Cristo nel servizio generoso di Dio e del suo Popolo, per partecipare alla sua gloriosa regalità.

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La Chiesa è depositaria del mistero di Cristo: lo è in tutta umiltà e senza ombra di orgoglio o arroganza perchè è dono senza alcun merito


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CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG


CAPPELLA PAPALE E CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I NUOVI CARDINALI PER LA CONSEGNA DELL’ANELLO CARDINALIZIO , 25.11.2007

Alle 10.30 di oggi, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, nella Basilica Vaticana il Santo Padre Benedetto XVI presiede la concelebrazione eucaristica con i 23 nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri e consegna loro l’Anello cardinalizio, "segno di dignità, di sollecitudine pastorale e di più salda comunione con la Sede di Pietro".
Nel corso della Cappella Papale, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, Benedetto XVI tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!


Quest’anno la solennità di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, è arricchita dall’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di 23 nuovi membri, che, secondo la tradizione, ho invitato quest’oggi a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio saluto cordiale, estendendolo con fraterno affetto a tutti i Cardinali presenti. Sono lieto, poi, di salutare le Delegazioni convenute da diversi Paesi e il Corpo Diplomatico presso la Santa Sede; i numerosi Vescovi e sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale di alcuni dei nuovi Cardinali.

La ricorrenza liturgica di Cristo Re offre alla nostra celebrazione uno sfondo quanto mai significativo, tratteggiato e illuminato dalle Letture bibliche. Ci troviamo come al cospetto di un imponente affresco con tre grandi scene: al centro, la Crocifissione, secondo il racconto dell’evangelista Luca; in un lato l’unzione regale di Davide da parte degli anziani d’Israele; nell’altro, l’inno cristologico con cui san Paolo introduce la Lettera ai Colossesi.

Domina l’insieme la figura di Cristo, l’unico Signore, di fronte al quale siamo tutti fratelli. L’intera gerarchia della Chiesa, ogni carisma e ministero, tutto e tutti siamo al servizio della sua signoria.

Dobbiamo partire dall’avvenimento centrale: la Croce. Qui Cristo manifesta la sua singolare regalità. Sul Calvario si confrontano due atteggiamenti opposti. Alcuni personaggi ai piedi della croce, e anche uno dei due ladroni, si rivolgono con disprezzo al Crocifisso: Se tu sei il Cristo, il Re Messia – essi dicono –, salva te stesso scendendo dal patibolo. Gesù, invece, rivela la propria gloria rimanendo lì, sulla croce, come Agnello immolato. Con Lui si schiera inaspettatamente l’altro ladrone, che implicitamente confessa la regalità del giusto innocente ed implora: "Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Commenta san Cirillo di Alessandria: "Lo vedi crocifisso e lo chiami re. Credi che colui che sopporta scherno e sofferenza giungerà alla gloria divina" (Commento a Luca, omelia 153). Secondo l’evangelista Giovanni la gloria divina è già presente, seppure nascosta dallo sfiguramento della croce. Ma anche nel linguaggio di Luca il futuro viene anticipato al presente quando Gesù promette al buon ladrone: "Oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43).
Osserva sant’Ambrogio: "Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121).

L’accusa: "Questi è il re dei Giudei", scritta su una tavola inchiodata sopra il capo di Gesù, diventa così la proclamazione della verità. Nota ancora sant’Ambrogio: "Giustamente la scritta sta sopra la croce, perché sebbene il Signore Gesù fosse in croce, tuttavia splendeva dall’alto della croce con una maestà regale" (ivi, 10,113).

La scena della crocifissione, nei quattro Vangeli, costituisce il momento della verità, in cui si squarcia il "velo del tempio" e appare il Santo dei Santi. In Gesù crocifisso avviene la massima rivelazione di Dio possibile in questo mondo, perché Dio è amore, e la morte in croce di Gesù è il più grande atto d’amore di tutta la storia. Ebbene, sull’anello cardinalizio, che tra poco consegnerò ai nuovi membri del sacro Collegio, è raffigurata proprio la crocifissione.
Questo, cari Fratelli neo-Cardinali, sarà sempre per voi un invito a ricordare di quale Re siete servitori, su quale trono Egli è stato innalzato e come è stato fedele fino alla fine per vincere il peccato e la morte con la forza della divina misericordia. La madre Chiesa, sposa di Cristo, vi dona questa insegna come memoria del suo Sposo, che l’ha amata e ha consegnato se stesso per lei (cfr Ef 5,25). Così, portando l’anello cardinalizio, voi siete costantemente richiamati a dare la vita per la Chiesa.

Se volgiamo lo sguardo alla scena dell’unzione regale di Davide, presentata dalla prima Lettura, ci colpisce un aspetto importante della regalità, cioè la sua dimensione "corporativa". Gli anziani d’Israele vanno ad Ebron, stringono un patto di alleanza con Davide, dichiarando di considerarsi uniti a lui e di voler formare con lui una cosa sola.
Se riferiamo questa figura a Cristo, mi sembra che questa stessa professione di alleanza si presti molto bene ad esser fatta propria da voi, cari Fratelli Cardinali. Anche voi, che formate il "senato" della Chiesa, potete dire a Gesù: "Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne" (2 Sam 5,1). Apparteniamo a Te, e con Te vogliamo formare una cosa sola. Sei Tu il pastore del Popolo di Dio, Tu sei il capo della Chiesa (cfr 2 Sam 5,2). In questa solenne Celebrazione eucaristica vogliamo rinnovare il nostro patto con Te, la nostra amicizia, perché solo in questa relazione intima e profonda con Te, Gesù nostro Re e Signore, assumono senso e valore la dignità che ci è stata conferita e la responsabilità che essa comporta.

Ci resta ora da ammirare la terza parte del "trittico" che la Parola di Dio ci pone dinanzi: l’inno cristologico della Lettera ai Colossesi. Anzitutto, facciamo nostro il sentimento di gioia e di gratitudine da cui esso scaturisce, per il fatto che il regno di Cristo, la "sorte dei santi nella luce", non è qualcosa di solo intravisto da lontano, ma è realtà di cui siamo stati chiamati a far parte, nella quale siamo stati "trasferiti", grazie all’opera redentrice del Figlio di Dio (cfr Col 1,12-14). Quest’azione di grazie apre l’animo di san Paolo alla contemplazione di Cristo e del suo mistero nelle sue due dimensioni principali: la creazione di tutte le cose e la loro riconciliazione. Per il primo aspetto la signoria di Cristo consiste nel fatto che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui … e tutte in lui sussistono" (Col 1,16). La seconda dimensione s’incentra sul mistero pasquale: mediante la morte in croce del Figlio, Dio ha riconciliato a sé ogni creatura, ha fatto pace tra cielo e terra; risuscitandolo dai morti lo ha reso primizia della nuova creazione, "pienezza" di ogni realtà e "capo del corpo" mistico che è la Chiesa (cfr Col 1,18-20). Siamo nuovamente dinanzi alla croce, evento centrale del mistero di Cristo. Nella visione paolina la croce è inquadrata all’interno dell’intera economia della salvezza, dove la regalità di Gesù si dispiega in tutta la sua ampiezza cosmica.

Questo testo dell’Apostolo esprime una sintesi di verità e di fede così potente che non possiamo non restarne profondamente ammirati. La Chiesa è depositaria del mistero di Cristo: lo è in tutta umiltà e senza ombra di orgoglio o arroganza, perché si tratta del dono massimo che ha ricevuto senza alcun merito e che è chiamata ad offrire gratuitamente all’umanità di ogni epoca, come orizzonte di significato e di salvezza.

Non è una filosofia, non è una gnosi, sebbene comprenda anche la sapienza e la conoscenza. È il mistero di Cristo; è Cristo stesso, Logos incarnato, morto e risorto, costituito Re dell’universo. Come non provare un empito di entusiasmo colmo di gratitudine per essere stati ammessi a contemplare lo splendore di questa rivelazione? Come non sentire al tempo stesso la gioia e la responsabilità di servire questo Re, di testimoniare con la vita e con la parola la sua signoria? Questo è, in modo particolare, il nostro compito, venerati Fratelli Cardinali: annunciare al mondo la verità di Cristo, speranza per ogni uomo e per l’intera famiglia umana.

Sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II, i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, sono stati autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Ed è per me motivo di consolazione poter contare sempre su di voi, sia collegialmente che singolarmente, per portare a compimento anch’io tale compito fondamentale del ministero petrino.

Strettamente unito a questa missione è un aspetto che vorrei, in conclusione, toccare e affidare alla vostra preghiera: la pace tra tutti i discepoli di Cristo, come segno della pace che Gesù è venuto a instaurare nel mondo. Abbiamo ascoltato nell’inno cristologico la grande notizia: a Dio è piaciuto "rappacificare" l’universo mediante la croce di Cristo (cfr Col 1,20)!

Ebbene, la Chiesa è quella porzione di umanità in cui si manifesta già la regalità di Cristo, che ha come manifestazione privilegiata la pace. È la nuova Gerusalemme, ancora imperfetta perché pellegrina nella storia, ma in grado di anticipare, in qualche modo, la Gerusalemme celeste.

Qui possiamo, infine, riferirci al testo del Salmo responsoriale, il 121: appartiene ai cosiddetti "canti delle ascensioni" ed è l’inno di gioia dei pellegrini che, giunti alle porte della città santa, le rivolgono il saluto di pace: shalom! Secondo un’etimologia popolare Gerusalemme veniva interpretata proprio come "città della pace", quella pace che il Messia, figlio di Davide, avrebbe instaurato nella pienezza dei tempi. In Gerusalemme noi riconosciamo la figura della Chiesa, sacramento di Cristo e del suo Regno.

Cari Fratelli Cardinali, questo Salmo esprime bene l’ardente canto d’amore per la Chiesa che voi certamente portate nel cuore. Avete dedicato la vostra vita al servizio della Chiesa, ed ora siete chiamati ad assumere in essa un compito di più alta responsabilità. Trovino in voi piena adesione le parole del Salmo: "Domandate pace per Gerusalemme"! (v. 6). La preghiera per la pace e l’unità costituisca la vostra prima e principale missione, affinché la Chiesa sia "salda e compatta" (v. 3), segno e strumento di unità per tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1). Pongo, anzi, tutti insieme poniamo questa vostra missione sotto la vigile protezione della Madre della Chiesa, Maria Santissima. A Lei, unita al Figlio sul Calvario e assunta come Regina alla sua destra nella gloria, affidiamo i nuovi Porporati, il Collegio Cardinalizio e l’intera Comunità cattolica, impegnata a seminare nei solchi della storia il Regno di Cristo, Signore della vita e Principe della pace.

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sabato 24 novembre 2007

IL PAPA SALUTA, A SORPRESA, I FEDELI IN PIAZZA SAN PIETRO: LE SUE PAROLE


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CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG


PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DEL CONCISTORO , 24.11.2007

Questa mattina, al termine del Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione dei nuovi Cardinali, il Papa ha raggiunto il sagrato della Basilica Vaticana e ha salutato con queste parole i pellegrini presenti in Piazza San Pietro:

Cari fratelli e sorelle,

benvenuti qui, su questa Piazza. Grazie per la vostra presenza. Abbiamo temuto la pioggia, per questo siamo stati in Basilica. Voi siete stati qui coraggiosamente presenti e avete pregato con noi. Vi ringrazio per la vostra presenza orante, per la vostra partecipazione a questo importante passo della Chiesa cattolica. I nuovi Cardinali riflettono l'universalità della Chiesa, la sua cattolicità: la Chiesa parla in tutte le lingue, abbraccia tutti i popoli, tutte le culture. Noi tutti insieme siamo la famiglia di Dio. E come famiglia siamo qui riuniti e preghiamo che il Signore benedica questi nuovi Cardinali al servizio di voi tutti. E preghiamo che la Madonna ci accompagni passo dopo passo.

A voi tutti auguro una buona domenica e un buon ritorno. Grazie per la vostra presenza. Arrivederci e buona giornata!

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CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG


CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI VENTITRÉ NUOVI CARDINALI , 24.11.2007

Alle ore 10.30 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI tiene un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 23 nuovi Cardinali.
In apertura di Concistoro, che ha forma di Celebrazione della Parola, il Santo Padre, dopo il saluto liturgico, legge la formula di creazione e proclama solennemente i nomi dei nuovi Cardinali.
Il primo dei nuovi Cardinali, Sua Em.za Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per Le Chiese Orientali, a nome di tutti rivolge al Santo Padre un indirizzo di omaggio e gratitudine.
Dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene l’omelia.
Il Rito prosegue con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza al Papa e ai Suoi successori.
I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si inginocchiano poi dinanzi al Santo Padre che impone loro la Berretta cardinalizia e assegna a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Santo Padre nell’Urbe. Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Benedetto XVI scambia con ciascun neo Cardinale l’abbraccio di pace.
La Celebrazione si conclude con la preghiera universale, la recita del Pater Noster e la Benedizione finale.
Di seguito riportiamo l’omelia del Santo Padre e l’indirizzo di omaggio del Card. Leonardo Sandri
:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle
!

In questa Basilica Vaticana, cuore del mondo cristiano, si rinnova quest’oggi un significativo e solenne evento ecclesiale: il Concistoro ordinario pubblico per la creazione di 23 nuovi Cardinali, con l’imposizione della berretta e l’assegnazione del titolo. E’ un evento che suscita ogni volta un’emozione speciale, e non solo in coloro che con questi riti vengono ammessi a far parte del Collegio Cardinalizio, ma in tutta la Chiesa, lieta per questo eloquente segno di unità cattolica. La cerimonia stessa nella sua struttura pone in rilievo il valore del compito che i nuovi Cardinali sono chiamati a svolgere cooperando strettamente con il Successore di Pietro, e invita il popolo di Dio a pregare perché nel loro servizio questi nostri Fratelli rimangano sempre fedeli a Cristo sino al sacrificio della vita se necessario, e si lascino guidare unicamente dal suo Vangelo. Ci stringiamo pertanto con fede attorno a loro ed eleviamo innanzitutto al Signore il nostro orante ringraziamento.

In questo clima di gioia e di intensa spiritualità porgo con affetto il mio saluto a ciascuno di voi, cari Fratelli, che da oggi siete membri del Collegio Cardinalizio, scelti per essere, secondo una antica istituzione, i più vicini consiglieri e collaboratori del Successore di Pietro nella guida della Chiesa. Saluto e ringrazio l’Arcivescovo Leonardo Sandri, che a vostro nome mi ha indirizzato cortesi e devote espressioni, sottolineando nel contempo il significato e l’importanza del momento ecclesiale che stiamo vivendo. Desidero, inoltre, rivolgere un doveroso pensiero al compianto Mons. Ignacy Jeæ, che il Dio di ogni grazia ha chiamato a sé appena prima della nomina, per offrirgli ben altra corona: quella della gloria eterna in Cristo. Il mio saluto cordiale va poi ai Signori Cardinali presenti e anche a quelli che non hanno potuto essere fisicamente con noi, ma sono a noi idealmente uniti. La celebrazione del Concistoro è sempre una provvidenziale occasione per offrire urbi et orbi, alla città di Roma e al mondo intero, la testimonianza di quella singolare unità che stringe i Cardinali attorno al Papa, Vescovo di Roma. In così solenne circostanza mi è caro altresì rivolgere un saluto rispettoso e deferente alle Rappresentanze governative e alle Personalità qui convenute da ogni parte del mondo, come pure ai familiari, agli amici, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli delle singole Chiese locali da cui provengono i neo-Porporati. Saluto, infine, tutti coloro che si sono qui raccolti per fare ad essi corona ed esprimere in festosa letizia la loro stima e il loro affetto.

Con l’odierna celebrazione, voi, cari Fratelli, venite inseriti a pieno titolo nella veneranda Chiesa di Roma, di cui il Successore di Pietro è il Pastore. Nel Collegio dei Cardinali rivive così l’antico presbyterium del Vescovo di Roma, i cui componenti, mentre svolgevano funzioni pastorali e liturgiche nelle varie chiese, non gli facevano mancare la loro preziosa collaborazione per quanto riguardava l’adempimento dei compiti connessi con il suo universale ministero apostolico.

I tempi sono mutati e la grande famiglia dei discepoli di Cristo è oggi disseminata in ogni continente sino agli angoli più remoti della terra, parla praticamente tutte le lingue del mondo e ad essa appartengono popoli di ogni cultura. La diversità dei membri del Collegio Cardinalizio, sia per provenienza geografica che culturale, pone in rilievo questa crescita provvidenziale ed evidenzia al tempo stesso le mutate esigenze pastorali a cui il Papa deve rispondere. L’universalità, la cattolicità della Chiesa ben si riflette pertanto nella composizione del Collegio dei Cardinali: moltissimi sono Pastori di comunità diocesane, altri sono al diretto servizio della Sede Apostolica, altri ancora hanno reso benemeriti servizi in specifici settori pastorali.

Ognuno di voi, cari e venerati Fratelli neo-Cardinali, rappresenta dunque una porzione dell’articolato Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa diffusa dappertutto. So bene quanta fatica e sacrificio comporti oggi la cura delle anime, ma conosco la generosità che sostiene la vostra quotidiana attività apostolica. Per questo, nella circostanza che stiamo vivendo, mi è caro confermarvi il mio sincero apprezzamento per il servizio fedelmente prestato in tanti anni di lavoro nei diversi ambiti del ministero ecclesiale, servizio che ora, con l’elevazione alla porpora, siete chiamati a compiere con ancor più grande responsabilità, in strettissima comunione con il Vescovo di Roma.

Penso ora con affetto alle comunità affidate alle vostre cure e, in maniera speciale, a quelle più provate dalla sofferenza, da sfide e difficoltà di vario genere. Tra queste, come non volgere lo sguardo con apprensione ed affetto, in questo momento di gioia, alle care comunità cristiane che si trovano in Iraq? Questi nostri fratelli e sorelle nella fede sperimentano nella propria carne le conseguenze drammatiche di un perdurante conflitto e vivono al presente in una quanto mai fragile e delicata situazione politica. Chiamando ad entrare nel Collegio dei Cardinali il Patriarca della Chiesa Caldea ho inteso esprimere in modo concreto la mia vicinanza spirituale e il mio affetto per quelle popolazioni.

Vogliamo insieme, cari e venerati Fratelli, riaffermare la solidarietà della Chiesa intera verso i cristiani di quella amata terra e invitare ad invocare da Dio misericordioso, per tutti i popoli coinvolti, l’avvento dell’auspicata riconciliazione e della pace.

Abbiamo ascoltato poco fa la Parola di Dio che ci aiuta a meglio comprendere il momento solenne che stiamo vivendo. Nel brano evangelico Gesù ha appena ricordato per la terza volta la sorte che lo attende a Gerusalemme, ma l’arrivismo dei discepoli prende il sopravvento sulla paura che per un attimo li aveva assaliti. Dopo la confessione di Pietro a Cesarea e la discussione lungo la strada su chi di loro fosse il più grande, l’ambizione spinge i figli di Zebedeo a rivendicare per se stessi i posti migliori nel regno messianico, alla fine dei tempi. Nella corsa ai privilegi, i due sanno bene quello che vogliono, così come gli altri dieci, nonostante la loro "virtuosa" indignazione. In realtà però non sanno quello che stanno chiedendo. E’ Gesù a farlo loro comprendere, parlando in termini ben diversi del "ministero" che li attende. Egli corregge la concezione grossolana del merito, che essi hanno, secondo la quale l’uomo può acquistare dei diritti nei confronti di Dio.

L’evangelista Marco ci ricorda, cari e venerati Fratelli, che ogni vero discepolo di Cristo può aspirare ad una cosa sola: a condividere la sua passione, senza rivendicare alcuna ricompensa. Il cristiano è chiamato ad assumere la condizione di "servo" seguendo le orme di Gesù, spendendo cioè la sua vita per gli altri in modo gratuito e disinteressato.

Non la ricerca del potere e del successo, ma l’umile dono di sé per il bene della Chiesa deve caratterizzare ogni nostro gesto ed ogni nostra parola. La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire.

Gesù ripete quest’oggi a ciascuno di noi che Egli «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Ecco l’ideale che deve orientare il vostro servizio. Cari Fratelli, entrando a far parte del Collegio dei Cardinali, il Signore vi chiede e vi affida il servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione massima ed incondizionata, usque ad sanguinis effusionem, come recita la formula per l’imposizione della berretta e come mostra il colore rosso degli abiti che indossate.

Siate apostoli di Dio che è Amore e testimoni della speranza evangelica: questo attende da voi il popolo cristiano. L’odierna cerimonia sottolinea la grande responsabilità che pesa al riguardo su ciascuno di voi, venerati e cari Fratelli, e che trova conferma nelle parole dell’apostolo Pietro che abbiamo poc’anzi ascoltato: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Una tale responsabilità non esime dai rischi ma, ricorda ancora san Pietro, «è meglio, se così vuole Dio, soffrire operando il bene piuttosto che fare il male» (1 Pt 3,17). Cristo vi domanda di confessare davanti agli uomini la sua verità, di abbracciare e condividere la sua causa; e di compiere tutto questo «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1 Pt 3,15-16), cioè con quell’umiltà interiore che è frutto della cooperazione con la grazia di Dio.

Cari fratelli e sorelle, domani, in questa stessa Basilica, avrò la gioia di celebrare l’Eucaristia, nella solennità di Cristo Re dell’universo, insieme con i nuovi Cardinali, e ad essi consegnerò l’anello. Sarà un’occasione quanto mai importante ed opportuna per riaffermare la nostra unità in Cristo e per rinnovare la comune volontà di servirlo con totale generosità. Accompagnateli con la vostra preghiera, perché al dono ricevuto rispondano con dedizione piena e costante. A Maria, Regina degli Apostoli, ci rivolgiamo ora con fiducia. La sua spirituale presenza, oggi, in questo singolare cenacolo, sia pegno per i nuovi Cardinali e per tutti noi della costante effusione dello Spirito Santo che guida la Chiesa nel suo cammino nella storia. Amen!

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INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL CARD. LEONARDO SANDRI

Beatissimo Padre,

Ho l'onore di esprimere il più profondo e vivo ringraziamento a nome dei ventitré nuovi Cardinali che oggi Vostra Santità ha aggregato al Collegio Cardinalizio.

La Sua benevolenza, Padre Santo, ci fa trovare in questo momento solenne presso la tomba dell'Apostolo Pietro e ai piedi del Suo Successore.
Uniti a Maria Santissima sentiamo sgorgare nei nostri cuori l'inno della gioia e della gratitudine: "L'anima mia magnifica il Signore... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente... ha innalzato gli umili" (Lc 1,46-55).
Santità, in questa seconda creazione cardinalizia del Suo pontificato trovano conferma la varietà e l'universalità della Santa Chiesa: insieme ad alcuni Presuli della Curia Romana, ricevono infatti la dignità del cardinalato Pastori di insigni ed antiche Chiese dell'Europa cristiana, e Pastori di Chiese fiorenti in grandi metropoli dell'Africa, dell'Asia e delle Americhe.
Non mancano illustri ecclesiastici che si sono distinti per lo zelo pastorale, il servizio alla Chiesa, la dottrina teologica, patristica o canonica.
Una menzione speciale merita la scelta di un venerato Rappresentante delle Chiese Orientali Cattoliche, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, trovatosi a svolgere il servizio patriarcale tra lacrime e sangue e nel doloroso esodo di tanti cristiani dalla terra che vide un tempo partire Abramo, padre comune nella fede e nella speranza, una terra che fu tra le prime ad avere la grazia di udire l'annuncio del Santo Evangelo.
La porpora, del resto, allude alla Croce di Cristo! Imponendoci la berretta cardinalizia, Ella, Padre Santo, ci esorterà ad "essere pronti a comportarci con fortezza usque ad sanguinis effusionem per l'incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Chiesa Romana". Tra tante gioie e consolazioni che ogni giorno raccogliamo nella vita del Popolo di Dio, constatiamo, infatti, che non mancano il martirio, la persecuzione, la tribolazione e lo scherno per il nome del Signore Gesù e per la fedeltà alla Chiesa e al Papa. Ma ci sentiamo sempre intimamente confortati e incoraggiati dalla promessa del Signore: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). È la stessa divina Parola che sostiene la sofferta testimonianza dei figli e delle figlie dell'Oriente cristiano, a cominciare da quanti vivono nella Terra dove nacque il nostro Redentore.
Vostra Santità ci ha chiamati ad entrare nel Clero dell'amatissima Chiesa di Roma, annoverandoci tra i Suoi più stretti consiglieri e cooperatori.
E noi vogliamo assicurare la collaborazione più fedele e leale.
Siamo e saremo al Suo fianco, Beatissimo Padre, nei momenti più impegnativi e in quelli ordinari del ministero petrino. Desideriamo rimanere con il Papa sia quando si fa servitore della verità e proclama il primato di Dio, come quando guida la Chiesa nel rinnovamento che scaturisce dalla fedeltà alla tradizione; sia quando invoca la pace, indicando la grande forza della preghiera e del dialogo, come quando promuove l'unità dei cristiani e il rispetto di tutte le religioni e le culture nella reciproca esclusione di ogni genere di violenza.
Con Lei, Padre Santo, vogliamo servire la causa dell'uomo: siamo pronti a seguirLa quando ribadisce che la persona senza Dio smarrisce se stessa; quando, facendosi vero defensor hominis, Ella insegna che il matrimonio e la famiglia sono la cellula originaria della società, che la vita va tutelata dal primo inizio fino al suo naturale compimento, che i diritti fondamentali di ciascuno, ed in particolare la libertà religiosa, vanno rispettati e rivendicati; quando difende la dignità della persona umana di fronte ad ogni oppressione.
Sì, siamo con il Papa quando, nel dolce nome di Gesù, si fa avvocato dei bambini e dei giovani come degli anziani, dei poveri e dei bisognosi, dei senza lavoro, dei profughi e dei migranti.
Cristo Buon Pastore, Re dell'universo e della storia, La confermi con ampie effusioni del Suo Santo Spirito, perché Ella sia per la Chiesa e per il mondo segno dell'amore di Dio, che è Padre di tutti. Il Signore benedica e custodisca Vostra Santità e La conservi gioioso lavoratore nella sua vigna, Grazie, Padre Santo!